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11/11/2009 – T. ORDINARIO – ANNO B – 32 DOMENICA – 2009

Preparazione alla celebrazione della messa.

32ª DOMENICA TEMPO ORDINARIO.
Anno B – 8 Novembre 2009

Ci Raccogliamo
davanti al Signore Gesù, che si dona, muore, risorge, trasmette lo Spirito: ci fa suoi «tralci» (Gv 15,5) con il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia (Nota 1). Rinnoviamo il segno dell’adesione a lui.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Amen. Gesù dice: “Ascolta, Israele: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore; e il prossimo come te stesso”.
Dio parla a noi tramite noi stessi come nel celebrare la messa. Dico, quindi: “Ascolta, N.” [nome proprio, e d’altre persone]. Ciascuna/o poi può dire: “Ascolta, Chiesa che sei [in Padova]”, [“… in famiglia N,”, “… in parrocchia N.”, “… in comunità N.”]; e tutti lo ripetiamo. «In persona» dei citati, ci presentiamo al Padre, come membra di Gesù che «sta alla destra di Dio e intercede per noi» (Rom 8,34), in atto di presentargli ciascuna persona: tutta l’umanità, in se stesso.
Con Paolo possiamo dire: “Sono lieto di dare compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24).
Con disponibilità, quindi, accogliamo la nostra esistenza quotidiana in Cristo, ripetendo insieme:
“Eccomi, Signore! Aiuta tutti, come ora aiuti noi ad ascoltarti”. Offriamo il nostro corpo come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio: come nostro culto nello Spirito (cfr Rom 12,1); come prolungamento della messa nella vita.

Leggiamo
il formulario liturgico della messa corrispondente, da Ingresso a Dopocomunione, secondo le disposizioni della chiesa (nota 2). Cogliamo una parola da contestualizzare (vedi: «Rileggiamo») e da ripetere: “N.,…”, appena il Signore si annunzia (= ci viene in mente) durante la giornata.

Rileggiamo
i testi, cominciando dal vangelo, dove Gesù si rivela Buona Notizia, parlando della sua e nostra pasqua che celebriamo; dove Gesù si rivela “Compimento” delle promesse della prima lettura; e si rivela “Fondamento” della sua comunità, la chiesa, nella seconda lettura (vedi Principi e Norme per l’uso del Lezionario e del Messale Romano). Rileggiamo vangelo e I-II lettura in rapporto al vangelo, ascoltando in adorazione, pregando, contemplando Gesù Risorto, presente fra noi.

Il VANGELO (Mc 12,38-44).
Struttura del vangelo liturgico.
Nel lezionario, il testo evangelico di Marco 12,38-44 sottolinea che Gesù si rivolge a tutti con l’apertura massima che si possa immaginare (nota 4). Si suddivide in due parti, legate dalla parola «vedova» prima al plurale «vedove» (12,38-40) verso le quali gli scribi, vanitosi, che «amano passeggiare in lunghe vesti ed essere salutati nelle piazze, occupare i primi seggi nelle sinagoghe e sedere ai primi posti nei banchetti», mostrano tutta la loro avidità e ipocrisia; poi al singolare «vedova» (12,41-44), una persona agli antipodi dell’avidità e dell’ipocrisia, che mostra visibilmente fino a qual punto di generosità può spingere una fede semplice, viva e sentita.

La prima lettura (1Re 17,10-16) associa la vedova del vangelo alla vedova di Zarepta.
La seconda lettura (Eb 9,24-28) richiama dove sta l’efficacia di tale donazione di sé, presente nella vedove e nell’assemblea celebrante: essa sta nell’immersione (nel battesimo) in Cristo che dona e continua a donare tutto se stesso per la nostra salvezza (v. 28: «Cristo si è offerto una volta per la salvezza di quanti lo attendono».

Tematica Liturgica.
Il contrasto presentato da Gesù nel brano evangelico di Mc 12,38-44 (apparenza/autenticità) fa scaturire il tema della vera fede. Gli scribi vivono la fede con «falsità» e «apparenza», la vedova con «veracità» e «autenticità». Il ricco dono dei più è in realtà offerta del superfluo. L’offerta povera della donna è invece offerta amorosa e totale della vita. Due concezioni a confronto: Gesù si colloca con l’autorità del giudice escatologico a favore della seconda, e chiama i discepoli ad ammirarla.
L’Antico Testamento (IRe 17,10-16) con l’esempio della vedova di Zarepta aveva già anticipato in qualche modo il Vangelo. Ma l’importanza di questo episodio veterotestamentario va riconosciuta lì dove l’autenticità del dono della vedova di Zarepta avviene su invito e incoraggiamento della parola di Dio, e non per generosità spontanea (vv. 13-15: «Elia le disse: “Non temere; và a fare come hai detto…, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: La farina della giara non si esaurirà… Quella andò e fece come aveva detto Elia”). È come dire: la fede della vedova del tempio nasce e si manifesta perché alle spalle c’è una forza nascosta che la guida: la Parola di Dio.

I testi eucologici guidano la celebrazione: Ascoltiamo in Adorazione, Preghiamo, contempliamo.

La chiesa, famiglia del Cristo, dona tutto se stessa, come la vedova del vangelo,
spinta dalla parola di Dio, che le parla nell’intimo.

ASCOLTIAMO IN ADORIZIONE.
«Gesù diceva alla folla: “Guardatevi dagli scribi”» vanagloriosi, avidi, ipocriti.
Ti adoriamo, Signore Gesù: tu cerchi solo il bene d’ogni persona, tuo fratello e sorella.
C’inviti a guardarci dagli scribi, non in quanto persone, ma in quanto attaccati alla ricchezza con tutte le malizie che ne conseguono: vuoi che stiamo lontani da ogni attaccamento a quanto non sei tu. Ciò che ci mette in contrasto fra noi: come fra scribi e te, Gesù, fra scribi e le vedove, è un atteggiamento interiore. Gli scribi dimostrano un’insaziabile volontà interiore di accaparrare e possedere, non badando alla vanagloria, all’avidità, all’ipocrisia.
Sul piano psicologico, la loro insaziabilità di possesso si caratterizza nel voler «catturare a tutti i costi» l’attenzione, la riverenza, l’ossequio da parte degli altri. Ciò li porta a vestirsi in un certo modo (non come gli altri), a collocarsi al centro dell’attenzione altrui, sia in ambito religioso che sociale. La descrizione che tu ne fai, Gesù, è finissima; con brevi pennellate collochi questi personaggi sulla linea sottilissima di demarcazione tra il solenne e il ridicolo.
Sul piano pratico, la tua descrizione è concreta, brutale: da una parte rilevi un comportamento immorale verso la persona socialmente più debole (la vedova), e dall’altra un comportamento immorale verso la realtà più profonda, nell’incontro con Dio («ostentare» preghiere). Questi sono i «ricchi», nome che non indica una componente sociale, ma una malattia dello spirito.
Fa che vediamo anche noi, Signore, la stoltezza che c’è in noi, e che tutti vedono, eccetto noi stessi: sarà l’inizio della nostra salvezza.

Di fronte al tesoro Gesù osserva: tanti ricchi gettano molte monete; 1 vedova povera, 2 monetine.
Ti adoriamo, Signore Gesù: doni libertà e ascolto, origine di affidamento, crescita di libertà.
Da parte della «vedova povera», c’è libertà, c’è distacco: doni nobili e superiori. Prima di tutto lei è.
«povera», non è «ricca»; non possiede. E non è psicologicamente vuota, bisognosa di riempire un proprio mondo interiore con il possesso dell’attenzione, della riverenza e dell’ossequio altrui. Poi è
«vedova»: si tratta di una persona che ha subìto le angherie degli scribi (“divorano le case delle vedove”); eppure, in questa persona non c’è il minimo accenno al risentimento, alla vendetta: sì, il
«povero» del vangelo – come Gesù – non ha questi sentimenti. La persona della «vedova povera» è
«caratterizzata» piuttosto dal possesso di due spiccioli, non superflui, ma necessari per vivere; in lei
un senso di libertà e di distacco la porta ad affidarsi totalmente a Dio, tanto da dare a Dio anche
il necessario per vivere. – Signore, il tuo Spirito di libertà ci faccia liberi abbandonati a te che ricrei.

Gesù chiama a sé i discepoli e sentenzia: “Questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”.
Ti adoriamo, Signore Gesù: tu solo valuti in modo giusto, e fai fruttificare in noi i tuoi doni.
Da parte sua, Gesù giudica due atteggiamenti. Il primo, quello degli scribi: Gesù non solo non lo tollera, ma lo condanna inesorabilmente. In effetti, Gesù sulla spianata del tempio è in apparenza un cittadino qualsiasi, ma in realtà è il giudice divino. Il suo giudizio è definitivo, che salva o esclude la salvezza. Gesù ha accusato gli scribi d’incoerenza col loro stesso insegnamento, d’egoismo, di vanità, di malvagità.
Per antitesi, l’altro comportamento, quello della vedova, è il comportamento approvato pienamente da Gesù (nota 5). La vedova è perciò un modello per la comunità cristiana: «Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, Gesù disse loro: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”». Lei ha dato, non il superfluo, ma «tutto ciò che aveva per vivere»; la sua è la fede di chi si abbandona alla misericordia di Dio; è vero rapporto personale profondo.
È vero: nell’antitesi scribi/vedova c’è il paradosso; ma l’insegnamento di Gesù è chiaro: chi lo cerca, lo trova fattibile, com’è avvenuto nei discepoli. La dinamica è altrettanto chiara: l’iniziativa è di Dio che dispone una storia per ogni persona, perché giunga a constatare la propria totale incapacità, e divenga pienamente disponibile al piano di Dio (v. 12: “Non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo”); Iniziativa di Gesù che chiama a sé i suoi discepoli; ed essi si avvicinano; Gesù dà loro il senso del fatto: economicamente è poco quanto dà questa vedova povera, ma è d’immenso valore, perché rispecchia il «Cristo che offre se stesso, una volta per tutte» (cf II lettura), mossa dalla sua parola (cf I lettura). La chiesa (raffigurata dalla vedova) vive della parola di Dio, è una comunità salvata dal dono che Gesù fa di se stesso, testimonia il suo Salvatore (celebrando questa Eucaristia presentiamo tutto ciò che abbiamo ricevuto dalla sua bontà, ed Egli lo trasforma (nota 6).

Spinta dalla Parola di Dio, la vedova fece con la farina una focaccia e la portò ad Elia.
Ti adoriamo, Signore Gesù: tu sei la Parola del Padre, che suscita in noi libertà e distacco.
L’episodio è preso dal ciclo narrativo di Elia (intorno agli anni 860/850 aC.). Erano «giorni» tremendi di carestia; e, probabilmente con altra gente affamata, Elia era sconfinato nella più fertile Fenicia: su preciso ordine di Dio il profeta si era spinto fino a Zarepta, città vicina a Tiro, a nord dell’attuale Israele lungo il mare. Questo sconfinamento è singolare e importante per la storia del profetismo; tra i profeti, infatti, Elia è l’unico che svolge parte della sua attività fuori d’Israele.
Il racconto è giocato tutto su due realtà contrastanti: da una parte, la situazione del profeta perseguitato dal potente re israelita, Acab; e dall’altra, la semplice e fiduciosa generosità di una poverissima vedova pagana, che lo salva dalla morte in virtù della parola del Dio d’Israele, per bocca dello stesso profeta: «Elia le disse: “Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”.
Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia». Elia parla, proferendo ciò che interiormente ascolta.
La fede nella Parola di Dio, da parte di quella vedova povera di Zarepta, è operante nella vedova del vangelo, al tempio di fronte al tesoro, e la spinge al totale affidamento a Dio, tipico del povero, anì, che non è irritato per le ruberie digli scribi, non ha da correggere nulla a nessuno, gode solo della propria totale appartenenza a Dio, a cui si affida, certa che lui saprà come provvedere a lei, come attesta l’assemblea celebrante, con l’antifona alla comunione (“il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”). – Tu operi anche se in noi tutti manca la vera fede in te, Signore; come in Saccarina al tempio.

Cristo si è offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti (= tutti).
Ti adoriamo, Signore Gesù: .
La parte centrale della lettera agli Ebrei (capitoli 5-10) sviluppa il tema di Gesù, sommo sacerdote perfetto, attraverso un parallelismo con l’antico sacerdozio d’Israele.
Il sommo sacerdote dell’Antico Testamento entrava nel Santo dei Santi, l’area più sacra del tempio, una sola volta l’anno, versando il sangue delle vittime immolate; Gesù entra nel tabernacolo celeste versando il proprio sangue, dando origine così alla salvezza del mondo. Gesù, che certamente non fu sacerdote in senso levitico, viene allora definito come l’autentico «sommo sacerdote» che «porta a compimento» il sacerdozio antico, perché non offre più sacrifici, ma offre se stesso (il dono di Gesù ha la stessa caratteristica del dono delle due vedove: del vangelo e della prima lettura). Nel sangue di Gesù, sparso per molti, una volta per sempre, si apre per la comunità la reale possibilità d’accesso alla comunione vera e definitiva con Dio, presente nelle espressioni:
«Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore».
«Cristo non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote, che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: di sacrifici…».
«Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, Gesù è apparso per annullare il peccato, mediante il sacrificio di se stesso».
«Così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza».

PREGHIAMO.
Aderendo all’agire dello Spirito, per mezzo di Cristo che è: «1. Ringraziamento; 2. Pane; 3. Offerta; 4. Intercessione; 5. Lode»:
1. «Ringraziamo», raccontando l’Amore del Padre in Cristo verso di noi (prefazio). Grazie, Padre, per il tuo Figlio: A te egli ancora si offre e come nostro avvocato intercede per noi; sacrificato sulla croce, più non muore, ma, con i segni della passione, vive immortale. Nella sua passione egli dona se stesso senza badare all’uso o all’abuso che si farà del suo dono.
2. «Siamo nutriti» di Cristo, che, preso il «pane» e rese grazie, si dona vero cibo e bevanda di salvezza (consacrazine, transustanziazione). Ora, Padre, manda lo Spirito, che perfeziona l’opera di Gesù nel mondo, compiendo ogni santificazione. Con il sacrificio di se stesso Gesù rende l’uomo gradito a te, o Padre: è lo sposo che attira a sé la sposa nell’amore gratuito, la trasforma, la rende luogo dove può continuare ad amare tutta l’umanità.
Nella vedova Gesù ha trovato la figura di un popolo che accoglie il dono da Dio e lo getta nel tesoro del tempio, lo ridona, cioè, a te, o Padre, in Cristo Gesù: “Dalla tua bontà abbiamo ricevuto”; “lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita e bevanda di salvezza”.

3. «Diveniamo» luogo riservato a Gesù, che in noi continua a «donare» se stesso (offerta). In noi, Padre, si offre a te Gesù: vero tuo dono agli uomini, vero tesoro del tempio. Tutto quello che tu hai, per vivere, cioè il Figlio, non superfluo e ben più che due spiccioli, tu, o Padre, lo hai donato a noi. Ed egli, Dio come te, ha gettato tutti i suoi averi, tutto quanto ha per vivere, nella cassetta delle offerte del mondo, quando ci ha donato quell’uomo senza apparenza, nascosto, appena rintracciabile nella storia del mondo, se stesso, Gesù di Nazaret. E in questo «quasi-suo-niente-umano» ci ha donato di più che con il ricco, gigantesco universo, perché così ha offerto «tutto ciò che gli era necessario per vivere» come Dio, affinché anche noi, con il suo dono fino alla morte, potessimo vivere della sua vita eterna. E noi, attratti da questo suo Spirito di Amore, siamo beati, domestici del regno (cfr Mt 5,3), trasformati da vedova in Sposa che con lo Sposo impara a donare se stessa.
4. «Intercediamo» per tutti in Cristo, che «intercede» per noi, e ci fa intercessori con lui per gli altri (intercessione). Tutti, Padre, accogli in Cristo: vivi, defunti, celebranti. Divenuti come quella vedova, immagine della comunità, povera, senza fama, perché lo sposo le è tolto, il tempio è lacerato; ma rinnovati a immagine di Dio in questa celebrazione eucaristica, in Cristo Gesù noi siamo capaci di dare più di tutti gli altri: siamo capaci di pregare te, o Padre, senza primeggiare con vanità, senza cercare riconoscimenti, senza distinguerci dagli altri per veste, lingua, casa, preghiere proprie; ma intercedendo per tutti, come cattedratici dell’amore divino, nascosto ed efficace.
5. «Glorifichiamo» pienamente il Padre, per Cristo, con Cristo, in Cristo nello Spirito Santo che ci fa santi (lode finale). A te, Padre, ogni onore e gloria: per Cristo, nello Spirito Santo che ci fa santi. A te ogni onore e gloria, dall’umanità rinnovata: insieme alla moltitudine dei redenti a prezzo del suo sangue, Gesù diventa il nuovo tempio di pietre vive, dimora dell’Altissimo. È la Chiesa con la nuova liturgia efficace per opera dello Spirito; è la comunità dei poveri in spirito, che confidano nel Signore. Siamo noi santificati, resi capaci di seguire Gesù che dona se stesso, a lode e gloria di Dio Padre.

O Padre, che prepari per i tuoi eletti il regno fin dall’origine del mondo; fà che siamo beati, poveri in spirito, partecipi del regno dei cieli. Per Cristo nostro Signore. Amen.

CONTEMPLIAMO.
la storia del piano di Dio.
Nella chiesa il Padre convoca i credenti in Cristo, in cinque tappe (Lumen Gentium, 2; vedi: nota 3). Contempliamo oggi nei suoi cinque momenti, per esempio, Il Dono:
prefigurata, sin dall’inizio, nella Creazione: il dono, della vedova che sfama e disseta;
figurata, nella storia d’Israele, antica alleanza: il dono, di Dio che provvede ai suoi la parola, l’olio e la farina;
compiuta, in Cristo Gesù, negli ultimi tempi: il dono, di Gesù che offre se stesso;
manifesta, nella chiesa, per lo Spirito effuso: il dono, dei discepoli che in Gesù imparano a dare tutto come la vedova;
completa, alla fine, nella gloria della Trinità. il dono, del Padre che per i figli prepara il regno fin dall’origine del mondo.

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NOTE
Nota 1.
La Parola di Dio, Proclamata in questa celebrazione, richiamata dall’antifona alla Comunione (cf T. Ordinario – Anno B – 32ª Domenica – 09/11/2003), e approfondita anche da altri testi eucologici (cf ad es. 12/11/2006), «attua ora» sacramentalmente in noi la redenzione, realizzata fin dall’evento pasquale della morte e risurrezione di Gesù il sette – nove Aprile del trenta d.C.
La Parola di Dio «attua ora sacramentalmente in noi la redenzione», perché lo stesso evento pasquale di duemila anni fa, con la sua efficacia, è in atto nella Parola «Proclamata» in quest’Eucaristia; la stessa «opera di Gesù» è in atto quindi in circostanze diverse: «storiche» di quel tempo in Israele, «sacramentali» (gesti e parole) ora nella sua Parola proclamata.
La Parola («Dâbhâr») è «Fatto e Parola» («Dâbhâr Javè» = «Fatto e Parola di Javè»); lo stesso «Fatto» storico della Pasqua di Gesù (che soffre, muore, trasmette lo Spirito, risorge) per opera dello Spirito Santo è presente in questa «Parola» proclamata nell’assemblea liturgica; anzi, «in previsione» della sua pasqua redentrice era già presente fin nel grembo di Maria.
Noi ora, come Maria, diciamo: “Sì”, con il cuore bendisposto nel celebrare. La redenzione, operata nei «misteri» (gesti e parole di Gesù nel rito), trasforma tutta la nostra vita. La Parola proclamata nella liturgia, cioè, lo stesso Gesù pasquale, ispira e attua i vari momenti della celebrazione e dell’esistenza in chi l’accoglie.
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Nota 2.
“I fedeli partecipino con frequenza alle messe, anche feriali, e, quando ciò non è possibile, siano invitati a leggere almeno i testi delle letture corrispondenti in famiglia o in privato”, vediPartecipazione e Celebrazione delle Feste Pasquali, Congreg. per il Culto, n.13; del 16.01.1988);
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Nota 3.
«I credenti in Cristo, (il Padre) li ha voluti chiamare a formare la santa Chiesa, la quale, già annunciata (“prefigurata”) in figure sino dal principio del mondo, mirabilmente “figurata” nella storia del popolo d’Israele e nell’antica Alleanza [1], stabilita (“compiuta”) infine «negli ultimi tempi», è stata manifestata (“manifesta”) dall’effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli (“completa”). Allora, infatti, come si legge nei santi Padri, tutti i giusti, a partire da Adamo, «dal giusto Abele fino all’ultimo eletto» [2], saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale» (Lumen Gentium 2).
Cinque tappe della formazione della chiesa (da kalèô = chiamo; participio passato = èkklesa: ecclèsia, chiesa = chiamata): prefigurata, figurata, compiuta, manifesta, completa.
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Nota 4.
Gesù si rivolge a tutti.
Il testo biblico di Mc 12,38-44 dice: «Diceva loro mentre insegnava: – Guardatevi … ». Il testo greco, invece, ha: «E nel suo insegnamento diceva: – Guardatevi … ». Il Lezionario annuncia: «In quel tempo, Gesù diceva alla folla, mentre insegnava: – Guardatevi … ».
Se il Lezionario avesse accettato la dicitura italiana «loro» invece di «alla folla», il pronome «loro» sarebbe rimasto in una grande ambiguità perché nella liturgia manca il contesto biblico originale della pericope, i rappresentanti di quel «loro». Il lezionario presenta così il senso come vuole il testo greco ispirato, che suona: «E nel suo insegnamento diceva..», Gesù cioè si rivolgeva a tutti.
Uno potrebbe dire: è il caso di stare lì a vedere se è «alla folla» anziché a «loro»? Invece, sì, perché se so che Gesù si rivolge «alla folla», so che sono personalmente coinvolto; se invece Gesù si rivolge momentaneamente «a loro», è un’altra questione: io non sono personalmente implicato.
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nota 5
Gesù mette in luce un pensiero originario proprio del mondo rabbinico. I rabbini raccontavano che uno di loro, per aver rifiutato una manciata di farina da una vedova, si era sentito dire da Dio in un’apparizione: «Perché l’hai disprezzata? Con quella manciata di farina essa ha offerto se stessa!». L’episodio della vedova, simbolo biblico del povero, dell’orfano e dell’oppresso, ci mostra ancora una volta come Dio veda nella profondità dell’essere, e gradisca il piccolo obolo dato con fede più che non le grandi offerte e l’esteriorità.
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Nota 6.
Tutto quello che aveva☺
Quante volte i missionari ci raccontano i miracoli che sanno fare i poveri: miracoli di solidarietà, di fraternità, di generosità. Davanti alla disgrazia che colpisce uno di loro, davanti alle difficoltà di una famiglia che non sa più dove sbattere la testa, davanti alla necessità di un ricovero urgente e a medicine costose, il poco che ognuno ha riesce a risolvere un problema che sembrava insolubile. Ma attenti: quel poco, per molti di loro, è tutto. Tutto quello che c’è a disposizione, tutto quello che può costituire una qualche sicurezza, tutto quello che può allontanare lo spettro della fame per domani. Per questo parlano di miracolo: il gesto prodigioso di chi ama veramente e dà tutto, non il superfluo. Come hanno fatto tante madri nelle epoche buie della miseria: si tiravano via il pane di bocca, per nutrire i propri figli.
La Chiesa italiana, in occasione del Giubileo, ha lanciato la «Campagna per la remissione del debito estero»: è stata un’occasione in più che ci veniva offerta, un’occasione di non poco conto per verificare quanto «pesa» il nostro amore, quanto spirito di fraternità abbiamo verso quelli che sono strangolati da un sistema che impedisce loro di uscire dal gorgo della miseria. Il calcolo fatto all’epoca dalla Caritas poteva apparire ingenuo: 600 milioni di lire per rimettere i debiti che lo Zambia e la Guinea Conakry hanno contratto con l’Italia. 2.000 lire per ogni abitante della diocesi. Chi non poteva dare 2.000 lire? Bastava rinunciare al quotidiano per due giorni, a due caffè nella pausa di lavoro, a qualche figurina o a qualche caramella se si trattava di bambini. Rinunciando ad un dopobarba si pagava la quota di almeno 20/30 persone, e altrettanto – se non di più – se si decideva di non comprare la crema anticellulite. E non stiamo parlando del pranzo fondamentale di una giornata, né di medicine necessarie per curare i nostri acciacchi, né della quota di benzina che ci serve per andare a lavorare…
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condividiamo (cfr neretto) la preghiera della Chiesa (cfr colori).