15-08-2005 Criteri di meditazione

15/08/2005 – CRITERI DI MEDITAZIONE

PREPARAZIONE ALLA CELEBRAZIONE DELLA MESSA.

CRITERI DI MEDITAZIONE DAL 2005
Ci prepariamo a celebrare la messa,
cercando di passare dalle idee ai fatti, di cogliere il senso che la Parola del giorno imprime nei vari momenti della Celebrazione, per aderirvi e goderne i frutti di redenzione, come indicato nei CRITERI DI MEDITAZIONE che seguono (cfr Jeremy Driscoll, OSB, Cosa accade nella messa, EDB Bologna 2006, pp 117, Euro 14.00)

PARTI DELLA CELEBRAZIONE EUCARISITCA – LORO NESSO E SIGNIFICATO.
Per comprendere il significato e il valore della celebrazione eucaristica e trarne alimento per la vita spirituale, è necessario conoscerne le parti e il loro nesso reciproco.
Anche il silenzio, soprattutto dopo le letture e dopo l’omelia, fa parte viva della celebrazione con un tempo proprio: non sono momenti di passaggio, vuoti di significato e di attenzione; anzi di raccolta perché in quei momenti aderiamo a ciò che la Parola di Gesù ascoltata suscita in noi.
Rilevare il vero spirito profondo delle varie parti della celebrazione e aderirvi è anche il modo migliore per superare le tendenze sempre rinascenti di un ritorno al formalismo e al ritualismo.

PARTI DELLA CELEBRAZIONE
La Messa è costituita di DUE PARTI principali. Esse rispondono alla domanda: Perché si celebra la messa? Che cosa è la messa? La risposta è data dai testi e dai gesti stessi della messa. Essi ci mostrano perché si celebra la messa, e di quante parti la messa è costituita.
In tutti i sacramenti, in particolare nella messa (ora prendiamo in considerazione la messa), testi e gesti «ripresentano» la vita di Gesù che fino alla morte e risurrezione realizza il disegno del Padre: cioè Gesù ha realizzato in se stesso la salvezza di tutti gli uomini secondo il disegno del Padre, e chi celebra un sacramento, in particolare la messa, accetta di entrare nel vortice della salvezza di tutta l’umanità in Cristo. Scopo quindi della «messa» che ripresenta vita-morte-risurrezione di Gesù, è lo stesso della «vita-morte-risurrezione di Gesù»: la salvezza dell’umanità compiuta in Gesù secondo il disegno del Padre. Questa salvezza o pieno compimento della vita si attua nei fedeli che celebrano la messa, come si è compiuta in Gesù. Quanti celebrano la «messa», quindi, cioè coloro «ripetono gesti e parole che ripresentano la vita-morte-risurrezione di Gesù», partecipano alla sua opera di salvezza, realizzano il disegno del Padre riguardo a se stessi e a tutta l’umanità.

Il disegno del Padre, che è la Salvezza dell’umanità, è “ricapitolare in Cristo tutte le cose”: “abbattere il muro di divisione”, fare sì che in Cristo non ci sia più “né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti siamo uno in Cristo”. E, morendo in croce, di fatto Gesù ha unito in un abbraccio tutti gli uomini, li ha riconciliati con il Padre: ha “prodotto” la Chiesa dal suo costato. Gesù ha detto di trovarsi “dove sono due o tre riuniti nel suo nome”, e ha innalzato al Padre la sua ultima preghiera perché i suoi discepoli “siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei i n me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Noi entriamo in questo colloquio di Gesù con il Padre.
Questa è la finalità della messa: essere fatti «tutt’uno», «con Gesù», «in colloquio con il Padre».
La finalità della messa non è quella di “offrire” a Dio qualcosa, e nemmeno quella di offrirci noi a Dio così come siamo. Nella Messa si opera una trasformazione; la chiamiamo “transustanziazione”: il pane diventa il «corpo» e il vino il «sangue» di Cristo. Questa trasformazione non è però lo scopo della celebrazione. Essa è “sacramentale”, cioè ha la funzione di “segno, mezzo e strumento” di un’altra trasformazione: quella di noi tutti nel corpo di Cristo.
Ecco il fine della messa: essere «uno fra noi in Cristo» che è «in comunione con il Padre». Nella messa c’è infatti una duplice “epiclesi” o «invocazione» dello Spirito Santo: una sui doni, e una sugli offerenti. Sui doni: “Padre…, manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri”. E sugli offerenti: “Padre…, a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. Quindi quel Cristo che il Padre ci dona, così come si esprime nelle letture, si rende qui presente «perché» noi, nutrendoci di lui, siamo «uniti», nel suo colloquio con il Padre. È tutto opera sua; e da questa «unione» tutti vedono che siamo discepoli di Cristo, e credono in lui.

La Messa è quindi un colloquio di Dio con l’uomo in Cristo. Uniti in Cristo, ci rivolgiamo al Padre come Cristo «ci ha comandato di celebrare questi misteri»: chiediamo al Padre che attui ora in noi la «Comunione» realizzata in Cristo Gesù, come ci ha detto nelle letture. La messa è quindi un dialogo fra il Padre e noi che in Cristo formiamo «un tutt’uno»:
Il Padre parla a noi in Cristo nelle Letture che ascoltiamo in silenzio.
Noi in Cristo rispondiamo al Padre nella Preghiera Eucaristica che innalziamo a Dio.
Ecco le due parti principali della messa. Sono come due perle. In esse sono importanti i testi, le parole: la Parola che Dio rivolge a noi. E la Preghiera che noi, sua Chiesa «innalziamo» (da qui il termine greco anàfora = elevazione, altro termini per esprimere la messa) a Dio. Durante queste due parti l’assemblea sta ferma, seduta o in piedi, tutta attenta alla Parola.

TRE RITI fanno da cornice a queste due parti, come tre anelli che incastonano due perle.
– «Riti di inizio o introduzione», prima delle Letture;
– «Riti di presentazione dei doni o di offertorio», fra Letture e Preghiera Eucaristica;
– «Riti di comunione», dopo la Preghiera Eucaristica.
Questi tre riti non hanno la stessa importanza delle due parti dialogiche. C’è Sempre stato un ingresso, una presentazione degli elementi per l’eucaristia, e una comunione dei fedeli. Ma questi riti si sono sviluppati dopo il quarto secolo. La storia della loro progressiva formulazione rivela lo scopo di far partecipare vitalmente l’assemblea alla celebrazione del colloquio di Dio con l’uomo in Cristo. Canti e silenzi, letture e preghiere, con cuore e atteggiamenti del corpo attuano in noi la salvezza: ci fanno passare gradualmente con Gesù dalla morte alla vita. Sperimentiamo il dinamismo della nostra esistenza.
Questi tre «Riti» hanno in comune segni battesimali, processioni, litanie, preghiera del presidente.
– «Segni battesimali» dei catecumeni: «il segno della croce», «il credo», «il Padre nostro».
– «Processioni» con canto adatto al momento liturgico.
– «Litanie» al Signore e Agnello: «Signore, pietà»; «Ascoltaci, Signore»; «Agnello di Dio».
– «Preghiera del presidente» che conclude ciascun Rito: colletta, sulle offerte, dopo comunione.

Mediante «letture, riti e preghiere» si attua il mistero di Cristo, e noi comprendiamo ciò che una celebrazione ci vuole comunicare: entriamo nel nucleo del mistero cristiano che è «la Persona di Gesù». I testi, sia biblici che eucologici (preghiere della chiesa), non hanno vita propria: sono nati «nella e per la» celebrazione liturgica, e s’impregnano di senso all’interno della celebrazione stessa.
Almeno due o tre persone riunite, come popolo di Dio, celebriamo una Persona, un Avvenimento: la Persona di Gesù, l’Avvenimento del suo Dono. È il contenuto che le letture ci presentano sotto vari aspetti: mentre viene consegnato, tradito, Gesù consegna se stesso, fa dono della sua vita al Padre per i suoi amici, traditori. Non c’è amore più grande! Gesù trasforma il senso degli avvenimenti. Tradito, egli trasforma il tradimento in banchetto di Comunione, dicendo: «Ho tanto desiderato mangiare questa pasqua con voi!». Alla fine dello stesso banchetto poi Gesù comanda: «Fate questo in memoria di me».

Aderiamo al comando di Gesù, ripresentiamo l’azione compiuta da lui nell’ultima cena. Ogni «ottavo giorno» celebriamo l’unica festa, centro dell’anno liturgico: con gesti e testi ripresentiamo vita-morte-riurrezione del Signore Gesù, come Gesù stesso quella sera ha comandato di fare. Ascoltiamo la sua Parola, compiamo i suoi gesti: si attua in noi l’efficacia delle sue intenzioni salvifiche, secondo il disegno del Padre.
Ci prepariamo con semplicità alla celebrazione della Messa per trarne profitto, come è dato di farlo ad ogni cristiano. Usciamo dalla Celebrazione «missionari» con Gesù. In origine il sacerdote concludeva la Messa, dicendo: “Ite, Missa est”. “Andate, è mandata” (sottinteso l’Eucaristia). Un «Invio» in continuità con la missione di Gesù che dice: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”, “ecco, io sono con voi”, opero con voi, confermo parola e prodigi. Così si passa dalla messa alla vita. Ma come si giunge alla celebrazione della messa?

Si vive perché si celebra, e si celebra perché si vive come si è celebrato! Messa e Vita! Il rapporto fra esistenza quotidiana e celebrazione che rimanda alla vita può essere ben compreso alla luce del racconto dei due discepoli di Emmaus (Luca 24). Partono da Gerusalemme e tornano a Gerusalemme via Emmaus, dove riconoscono Gesù e sono spinti a tornare e riferire in comunità. È il tragitto del cammino «vita e celebrazione della vita» che si ripete di continuo in salita nella nostra esistenza, come in una scala a chiocciola che ritorna allo stesso punto d’incontro, ma a un livello superiore di fede. Messa All’aperto: nella vita. È l’esperienza di tutti.

Incontro di Gesù risorto con ogni persona, in ogni tempo. Nell’episodio dei due di Emmaus Luca sottolinea l’incontro di Gesù risorto con i discepoli di tutti i tempi. L’avvenimento simboleggia il desiderio del Risorto-Gesù d’incontrare ogni persona; quindi anche ciascuno di noi, ora. Il Risorto vuole mostrare come egli sta al centro della vita di ciascuno, e quanto desidera che ciascuno abbia la sua stessa Vita in pienezza. Gesù si fa nostro compagno di viaggio, amico e confidente, guida sicura per renderci coscienti che solo lui è il Salvatore, la Via Vera e Vitale.
In questo incontro i due discepoli ascoltano e riferiscono: sono confortati nella loro esperienza di Cristo con l’apporto di tutta la comunità. Solo la comunità ecclesiale mostra qui di essere il luogo legittimo ed efficace per ricevere, autenticare e alimentare la fede in un fraterno confronto di esperienza personale. Alla fine i due ritornano infatti a Gerusalemme e incontrano le stesse persone, e nello stesso luogo; ma con una più profonda convinzione interiore.

Così avviene in ogni comunità che celebra: la piccola esperienza personale di ognuno trova conferma, verifica e rafforzamento nella comunità. Solo chi «torna a riferire» in comunità, cioè chi impara a decifrare e riconoscere la presenza di Cristo Risorto nella propria vita può camminare sicuro con Cristo che salva. Solo in una comunità di persone che cercano e sperimentano l’incontro con il Risorto c’è la Parola, il Sacramento, la testimonianza dei fratelli con la loro presenza, che sostiene e fa crescere la personale consapevolezza di essere figli: eredi di Dio, coeredi di Cristo, fratelli tra di noi. Solo in quanto comunità unita poi diventiamo testimoni dello Spirito di Cristo di fronte al mondo.
Ma: si «torna a riferire» in comunità l’esperienza fatta per via, l’incontro con il viandante Gesù. E d’altra parte: Gesù viandante si accosta e cammina con chi cerca e insieme discute su di lui, sull’ingiustizia dei capi nei suoi riguardi, sulla speranza che fosse lui il liberatore.
Insomma: prima Gesù ci chiama all’esistenza; poi Gesù si annunzia, si fa conoscere e ci «immerge» (battezza) in lui; in fine ci raccoglie dalla dispersione delle nostre strade, e ci unisce in assemblea, come i due di Emmaus, da dove ripartiamo rinnovati.

Di fatto «i discepoli riconoscono Gesù nello spezzare il pane»: nella «Condivisione». Condivisione del viandante che si accosta e cammina con loro, dei due che lo accolgono nella loro difficoltà e accettano di raccontargli i loro affanni; condivisione dell’amico di viaggio che spiega le Scritture in ciò che lo riguardano, dei due che lo invitano a cena con loro; condivisione di Gesù che entra e dà loro il pane dopo averlo preso e spezzato con la benedizione: un «cammino di condivisioni» che finisce per far tornare e condividere «riferendo agli undici e agli altri» che erano già con loro. Festa della Condivisione.

I due riferiscono in comunità e insieme celebrano tutte queste condivisioni: insieme ricordano e riconoscono Gesù il Nazzareno che li ha radunati. Prendono coscienza che sono lì perché lui si è fatto presente, e ora sta in mezzo a loro, presente nel loro cuore che arde (riti iniziali). Comprendono le sue parole confrontandole con le Scritture, come Gesù stesso ha insegnato a fare (letture), esercitano accoglienza reciproca, provano gioia e benessere in un profondo senso di gratitudine e comunione.
Abbiamo imparato da loro a farlo anche noi. Eccoci qui insieme; quelle Scritture ora sono acclamate e ascoltate, meditate e pregate nella nostra celebrazione eucaristica. Di quel Nazzareno abbiamo presente anche noi sopratutto la morte e la risurrezione, che Pietro riferisce ora anche a noi, tornati in comunità come i due di Emmaus (vedi prima lettura 3ª domenica di pasqua anno A). Con Pietro riconosciamo l’Agnello senza macchia che versa il suo sangue e risuscita per noi (seconda lettura, ibidem). Riconosciamo quel Gesù, Agnello Liberatore, oggetto della nostra fede, fondamento di tutta la chiesa: di tutta l’umanità.

Insieme i discepoli ricordano e attuano le parole di Gesù che hanno ricosnosiuto. I discepoli ricordano le parole di Gesù: “Ho tanto desiderato mangiare questa pasqua con voi”; e alla fine del banchetto: “Fate questo in memoria di me”. Essi riconoscono quel Gesù che «in persona si accostò e camminava con loro»; e ha sintetizzato il contenuto delle scritture, che lo riguardano, nell’interrogativo: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. Quel Gesù ha aperto il loro cuore a comprendere il senso della storia, e a concretizzarlo nell’invito che i due fanno allo stesso Gesù: “Resta con noi”, Signore, a condividere la cena.
A questo punto, mentre a tavola prende il pane, e rende grazie, e lo spezza e lo dà loro, i discepoli riconoscono quel Gesù che prima hanno visto senza riconoscere, e che ora non vedono più, mentre lo sentono presente nel cuore che arde. La celebrazione che i discepoli ora fanno insieme agli undici con gli altri è costituita, sì, del reciproco «riferire» l’accaduto per via, ma soprattutto del «ricordare» tutta la vita di Gesù, con piena ed entusiastica adesione.
Intuiamo allora: è una storia che si ripete, è il senso profondo da riscoprire sempre nella nostra vita, è l’esistenza che porta alla festa eucaristica, è un rinnovamento di vita che la festa ci fa riscoprire. Vita, Festa, Vita che si rimandano, si integrano in un crescendo di gioiosa presenza.

Ogni celebrazione eucaristica ripropone e attua il cammino di Gesù con noi, suoi discepoli.
dai Riti iniziali: «Gesù in persona si accostò e camminava con loro». Siamo in difficoltà e Gesù, di sua iniziativa, viene in nostro aiuto, predisponendoci a comprendere il vero senso dei fatti;
all’
Ascolto della Parola: Gesù «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Gesù apre il nostro cuore al retto significato dei fatti attuali proponendo il senso di tutta la storia biblica su di lui;
all’
Offerta del dono di ospitalità: «Essi insistettero: “Resta con noi”. – Egli entrò per rimanere con loro». Gesù, che apre la mente a comprendere la parola, suscita entusiasmo che muove la volontà ad agire: ad ospitare;
alla
Liturgia eucaristica: Gesù «prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Fatti ad immagine di Gesù, indotti ad essere simili a lui nella condivisione, proviamo gioia e siamo grati;
fino ai
Riti di comunione: «“Non ci ardeva forse il cuore in petto?”. E fecero ritorno e riferirono». Prendere coscienza della propria novità di vita porta alla festa: a ricordare e raccontare Gesù presente, alla
comunione con Gesù e con gli altri che finisce per rimandare a nuova esperienza di vita quotidiana.

Si attua per grazia un incontro sempre più profondo e reale con Gesù crocifisso e risorto: incontro nella vita che culmina nella messa, che a sua volta è fonte di vita e di comunione, che finisce per rimandare all’esperienza della vita quotidiana. Infatti, una volta imparato che Gesù risorto così si rivela a ciascuna persona, come ai due di Emmaus, ognuno di noi «conserva e confronta», come Maria, i fatti della propria storia, per cogliere in essi la presenza di Gesù, sempre più profonda, nella propria esistenza.

Luca ci offre in sintesi le «tappe» del commino d’incontro con Gesù risorto, che i due di Emmaus tornati rivivono insieme agli «undici e agli altri»: l’evangelista ci aiuta a vedere nei testi della Celebrazione Eucaristica quotidiana queste fasi del «cammino» di fede, e a scoprirle anche quando non sembrano evidenti nei testi, ma suscitate dallo Spirito nei fedeli.
Ad esempio, il lunedì della terza settimana di pasqua: nel vangelo non sembra evidente un cammino di cinque fasi, come nel vangelo della 3ª domenica di pasqua anno A; ma Luca ci suggerisce di vedere:
Gesù che corregge l’intenzione della folla che lo cerca (rito d’introduzione);
Gesù che spiega il senso delle Scritture (liturgia della parola);
Gesù che chiede l’offerta dell’opera di Dio (offerta dei doni); e nella prima lettura:
Gesù che invita ad accogliere con gioia lui, «il mandato», come Stefano l’ha accolto (pregh. eucar.);
Gesù che ci unisce a sé come Stefano da mostrare il «volto come quello di un angelo» (riti di com.).

NESSO E SIGNIFICATO DEI MOMENTI CELEBRATIVI.

1. RITI D’INTRODUZIONE: “Scopo di questi riti è che i fedeli formino una comunità” (PNM 24):
I fedeli riuniti formano comunità disponibile ad ascoltare la Parola e aderire al Signore.

Ingresso, con Processione, canto, Saluto dell’altare.
Almeno due o tre persone riunite formano comunità. Dio parlerà ai singoli, in quanto popolo. Fiori e colori indicano la festa. Canto unanime accompagna sacerdote e ministri con l’evangeliario dal fondo della chiesa all’altare, centro del banchetto nuziale: è il Signore baciato e incensato. Primo atto del sacerdote.

Segno di croce e Saluto all’assemblea.
Giunto al suo luogo di presidenza, il sacerdote saluta l’assemblea e introduce alla festa con il primo «segno battesimale»: Immersi “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, membra vive del Cristo, “Il Signore con voi”, in tutta la celebrazione. – E il popolo: «E con il tuo spirito», dall’ordinazione fino ad ora.

Atto penitenziale, con Breve monizione e Litania.
«Mistero della Chiesa radunata», riconosciamo la nostra piccolezza, preghiamo gli uni per gli altri: Signore, non siamo sempre stati strumenti del tuo amore. Ma, lode a te, o Cristo, che di nuovo qui ci riunisci, e ci rinnovi la tua Misericordia. – Cristo risponde, perdona: ci conduce alla vita eterna.

Inno «Gloria».
Il segno della croce, la misericordia di Dio, ci riempiono di gioia, come i pastori; con la moltitudine dell’esercito celeste cantiamo allora l’inno di lode al Padre e all’Agnello: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Gli «esclusi» sono destinatari di amore gratuito.

Orazione «Colletta», con risposta del popolo: “AMEN”.
In silenzio davanti a Dio, ognuno formula intenzioni, ispirate dalle letture. In persona di Cristo, a nome di tutti, il Sacerdote le raccoglie (colletta) ed eleva a Dio. Quattro le parti della Colletta: 1. “O Padre”; 2. “che hai detto e susciti…”; 3. “àttualo…”; 4. “Per Cristo”. – Il popolo acclama: «Amen».

2. LITURGIA DELLA PAROLA: Letture.
Dio parla a noi in Cristo: ci rivela ciò che si è compiuto in Gesù e ora si attua in noi suoi fedeli.

Prima lettura..
Dio parla al suo popolo dal luogo adatto: la lettera morta annunziata in chiesa diventa parola viva di Dio: Cristo stesso è presente tra i fedeli, e rende presente tutta la storia della salvezza. Fatto centrale di persone, profezie e immagini è la Pasqua: Gesù la compie in se stesso, e la attua nel sacramento.

Salmo Responsoriale.
L’assemblea fa propria la parola divina, riconosce il suo Dio e lo acclama: «Parola di Dio!». Sa di celebrare in persona di Cristo compimento. Valori cantati da strofe del salmo echeggiano nel cuore del popolo; che non si distrae: canta un facile «Ritornello», ne accoglie i sentimenti e li sperimenta.

Seconda lettura.
L’Apostolo rileva l’aspetto del mistero di Gesù vivente nella Chiesa che celebra la Parola di Dio, protesa verso la sua pienezza. Come «Pietro con gli altri Undici», tipo di tutti i fedeli, l’assemblea si dichiara «testimone» del Risorto, suo «luogo riservato»: realizzata in Cristo che opera nella sua vita.

Versetto al vangelo. (con il canto dell’Alleluja o con altro canto in quaresima).
Nella vita senza fine canteremo con «insaziabile sazietà»: “Amen, Alleluia”. Tutto il nostro ‘dafare’ è un eterno «Alleluia» che in ogni celebrazione accompagna un versetto aperto al mistero di Cristo, celebrato da cielo e terra uniti in un’unica liturgia. Canto nuovo del popolo nuovo che adora e loda.

Vangelo.
È Gesù Cristo. Si canta: «Alleluja» a Cristo Signore, si porta in processione, si mettono i candelieri, si incensa, si bacia, si acclama: “Gloria a te, o Signore”, si ascolta, si ammira: “Lode a te, o Cristo”. E’ importante: quel libro si apre, parla di Pasqua. La Parola annunzia ciò che il sacramento realizza.

Omelia.
La parola di Dio è rivolta a tutti, è da tutti intelligibile. L’omelia porta i fedeli a comunicarsi con il Cristo che celebrano. È atto liturgico tra Letture e Preghiera eucaristica. Gesù stesso dice al popolo: “Oggi s’è adempiuta questa scrittura che avete udita”. L’assemblea ascolta stupita, accoglie, medita.

3. Riti di presentazione dei doni:
Ora Gesù prende pane e calice dalla comunità riunita ma dilatata verso tutti i bisognosi.

(segue)