24-12-2003-Vigilia

24/12/2003 – NATALE DEL SIG. – VIGILIA – ANNO 2003

NATALE DEL SIGNORE

24 dicembre 2003

RACCOGLIMENTO
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Amen.
Ascolta, Israele: io sono il Signore Dio tuo…! Ascolta, Chiesa che sei in..; ascolta N [tuo nome]
Eccomi, Signore: aiutaci tutti ad ascoltarti (Dt. 6,4; Lc 8,21; Is 6,8; Ebr 10,1s; Rm 12,1s).

LETTURA
Signore Gesù, nulla mi è più caro di te! Ascolto la tua parola nella messa del giorno (PCFP, 13); tu mi metti in bocca anche la risposta: fa’ che ascolto e risposta crescano con l’orante che ti cerca, o Dio (Gregorio, Cassiano, Benedetto). Vedi LETTURE

MEDITAZIONE o RILETTURA
Signore Gesù, tu mi parli di te stesso “Buona Notizia” nel vangelo, “compimento” delle promesse della prima lettura, “fondamento” della chiesa nella seconda lettura: rileggo vangelo, I e II lett. alla luce del versetto al vangelo:
Domani sarà distrutto il peccato della terra: e regnerà su di noi il Salvatore del mondo.

Signore Gesù, tu ti rendi presente! Con lo Spirito e la Sposa io grido: “Vieni, Signore Gesù!”. E tu rispondi: “Sì, ecco: io vengo” (Apc. 22,17s); così nel dialogo, alla comunione, mi dici chi sei e cosa fai oggi in noi (Antifona alla Comunione):
Giuseppe, non temere:
Maria partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù. Egli salverà il suo popolo.

Dio si chiama Emmanuele: Dio con noi. Oggi mi rendo presente in atto di mostrarmi meta di un processo in corso nella tua storia, come nella storia di tutta l’umanità, nel simbolo di Giuseppe (al centro del vangelo di Matteo c’è la figura di Giuseppe; mentre al centro del vangelo di Luca c’è Maria): in te come in lui nasco giorno per giorno. Celebri la mia nascita avvenuta nel tempo una volta per sempre duemila anni fa, non come un semplice ricordo di un avvenimento passato, ma come Natale mio, tuo, di ciascuna persona, della mia Chiesa che è tutta l’umanità; con questa Eucaristia a Natale si attualizza, si rende attuale nel tuo oggi, la mia passione morte e risurrezione nei suoi inizi. Anche tu, nelle tue situazioni, impari a chiamarmi: “Gesù”; io rinasco in te e tu in me, fino al Natale completo, fino a chiamarmi ‘Gesù’ come il buon ladrone sulla croce e ad essere con me nel paradiso della mia comunione di vita con il Padre mio e tuo; non sei quindi spettatore del mio Natale, ma lo vivi, vi prendi parte: mentre mi adori Creatore e Redentore fatto uomo, scopri la tua origine; scopri che Natale del capo è Natale del corpo, di ciascun suo membro; c’è un ordine nei singoli chiamati, prima e dopo la mia venuta nel tempo, per il bene di tutto il corpo: dall’unico Figlio a tutti i figli nel Figlio, dall’unica Madre ai molti fratelli, generati dal fonte battesimale; generati con me nella mia nascita. Ieri sono venuto nel mondo, oggi tu nasci in cielo; sono venuto sulla terra perché tu entri con me nella gloria; io vengo nella tua vita e tu entri nella mia (San Leone). Dio invisibile comincio ad esistere nel tempo, per reintegrare l’universo nel disegno del Padre (II prefazio di natale). Oggi sai che vengo a salvarti come meta di un programma, domani vedrai la mia gloria anche in te (ingresso, canto al vangelo): sono progetto di una lunga storia natalizia, realmente inserito in una precisa storia umana; in Israele, come figlio di Davide, secondo la promessa; nella pienezza di un tempo fissato: da Abramo, padre nella fede, a Davide, a Maria; in una genealogia che abbraccia l’umanità di uomini e donne, israeliti e straniere, osservanti e prostitute, fino a Maria l’Immacolata Madre dell’Agnello Immacolato che rende tutti, “santi e immacolati al mio cospetto nell’Amore”.
Dio in Gesù non disdegna di chiamarci fratelli: ci ha amati quando eravamo ancora nemici. “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide”. Gli evangelisti non vogliono narrarci sentimenti; ma significati. I sentimenti sono dell’epoca, i significati rimangono per sempre. I significati della nascita di Gesù sono nel testo più antico di Galati 4,4, fino al vangelo di Giovanni c 1. In Galati sta scritto: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna (senso negativo), perché ricevessimo l’adozione a figli (senso positivo). Nato sotto la legge (negativo) per riscattare coloro che erano sotto la legge e ricevessimo l’adozione a figli” (positivo). “Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità: per essere suoi figli adottivi” (Ef 1). L’adozione, nell’antichità, è alta considerazione dell’Imperatore per un suo suddito, che chiama accanto a sé sul trono, e mette al suo posto come suo successore. Non per consanguineità, quindi, ma per scelta. Noi siamo scelti da Dio ad essere così suoi figli: ad essere come lui è misericordioso.
Gesù fa passare dal mondo della religione alla vita della fede: dalle pratiche religiose al rapporto personale con Dio. Questa la novità assoluta che Gesù porta sulla terra, distruggendo tutte le religioni costruite su doveri dell’uomo di servire il Signore, portando invece la fede, cioè l’accoglienza del Signore che serve l’uomo: accogliere semplicemente il Signore che viene non per essere servito ma per servire te, chiunque tu sia, e in te tutti gli altri: è tutto quello che Gesù ti chiede con la sua incarnazione. La genealogia di Matteo lo sottolinea fin dall’inizio (Mt 1,1), mostrando l’immagine di un Dio che innalza l’uomo: ha stima di noi da metterci a continuare la sua stessa attività, la sua creazione. Dignità immensa; non siamo vermi, ma figli adottivi. È nato infatti per riscattare quelli che sono sotto la legge. Secondo la legge tribale degli antichi, il riscatto è l’impegno della tribù a liberare un suo membro caduto in mano nemica. Gesù nasce, si fa uno di noi, della nostra tribù per liberarci dalla schiavitù di ogni male.
Gesù si fa uomo come noi per farci Dio come lui. Nel primo capitolo del vangelo Giovanni scrive: “La luce venne nelle tenebre e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1): i nemici si servono di Dio per andare contro Dio; ma sono incapaci di sopraffare il Cristo, l’«Ecce homo» che per essere fedele al suo amore non esita di morire in croce. In un mondo di contrasti Gesù vince con la sua fedeltà nell’amore. Così la storia rivela che Dio ha un piano di salvezza, trova una situazione umana infausta che lo rifiuta, ma Dio rimane fedele all’Amore e porta l’uomo alla sua realizzazione. “Venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni”, dirà Giovanni ancora nel c. 1 del vangelo. Venne: divenne, è creato; un uomo (anthropos, non aner: quindi maschio e femmina, non solo maschio); mandato: fatto con una missione; il suo nome: il nome dice il tipo di missione; era «Giovanni»: jò + hen, jò è abbreviazione di Javè o colui che è sempre presente, e hen vuol dire grazia o misericordia. Giovanni: Javè-misericordia, quindi, è un nome di Dio ed è il nome di ogni uomo che Dio fa a sua immagine e somiglianza: ogni persona è posta come Dio, da Dio, là dove si trova; e ha da Dio l’essere e il potere di vedere e fare ciò che va fatto: Dio viene sempre e opera sempre in te, dandoti la sua Forza operante. Questo il messaggio più antico di Natale: Dio ha bisogno di me, come collaboratore della sua creazione. Si è figli di Dio in quanto riscattati dalla legge, e trasferiti nel regno del suo Figlio diletto. Matteo lo afferma sin dall’inizio del suo vangelo (capitolo 1) con la “Genealogia” = 40 nomi accompagnati da un verbo «generò», che nella sua monotonia rischia di non essere compreso, mentre presenta il messaggio più sublime. Anche in Lc troviamo una genealogia, ma dopo il battesimo, e per rilevare altri significati del mistero di Gesù. Genealogie importantissime, quindi. Narrazioni non di fatti nel loro susseguirsi, perché fra un nome e l’altro passano spesso più generazioni; ma narrazioni di verità e profondi significati. I fatti non sono compatibili tra gli evangelisti, che invece si integrano nel rilevare gli aspetti del mistero di Gesù. Non storia cronologica di Gesù, ma ciò che le comunità comprendono di Gesù, fondamento della loro esperienza.
Gesù in noi è la nuova creazione. «Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo». Tutti gli evangelisti lo affermano nel loro modo diverso di esprimersi: Lo Spirito di Dio fa irruzione nella storia come nuova creazione. «Cristo»: l’unto, il Messia, è senza l’articolo che lo specifica. Quindi non è «il» Cristo = il Messia, quello conosciuto dalla tradizione, atteso come castigamatti; ma diverso: è qualcos’altro. «Figlio di Davide e figlio di Abramo», ancora senza articolo, quindi non rassomiglia a Davide che restaura il regno con la violenza. Gesù entra in città con l’asino e non con la spada e il cavallo. Si sbagliano gli israeliti quando lo acclamano «“il” figlio di Davide»: perché è discendente da Davide, ma è «il figlio di Dio». Abramo inizia, Davide riunifica Israele. È sulla scia di Abramo, «padre di una moltitudine di genti». Ma non viene per il regno di Israele, bensì per il regno di Dio. Anche i discepoli stentano a capire. Gesù dovrà faticare non poco per farglielo capire. «Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo». Tutti gli evangelisti lo affermano nel loro modo diverso di esprimersi: Lo Spirito di Dio fa irruzione nella storia come nuova creazione. «Cristo»: l’unto, il Messia, è senza l’articolo che lo specifica. Quindi non è «il» Cristo = il Messia, quello conosciuto dalla tradizione, atteso come castigamatti; ma diverso: è qualcos’altro. «Figlio di Davide e figlio di Abramo», ancora senza articolo, quindi non rassomiglia a Davide che restaura il regno con la violenza. Gesù entra in città con l’asino e non con la spada e il cavallo. Si sbagliano gli israeliti quando lo acclamano «“il” figlio di Davide»: perché è discendente da Davide, ma è «il figlio di Dio». Abramo inizia, Davide riunifica Israele. È sulla scia di Abramo, «padre di una moltitudine di genti». Ma non viene per il regno di Israele, bensì per il regno di Dio. Anche i discepoli stentano a capire. Gesù dovrà faticare non poco per farglielo capire.
Gesù Figlio di Stranieri. I primi stranieri o pagani. Pagano è colui che non ha salvezza, colui che non ha possibilità alcuna di redenzione. Troviamo gli stranieri all’inizio del vangelo nella genealogia. L’evangelista che troviamo per primo, Matteo, ci fa veramente uno scherzo, uno scherzo che, se fossimo noi degli ebrei o dei pii ebrei, ci farebbe rabbrividire. Le donne, nella genealogia, non contano. Questo perché nel mondo ebraico non esiste il termine “genitori”, ma esiste un padre, che è colui che genera e una madre che partorisce. Le donne sono considerate delle incubatrici che accolgono il seme dell’uomo e lo fanno crescere per poi partorirlo. Per la loro cultura, la donna non trasmette niente di suo nel figlio. Allora, nelle genealogie, non si citano mai le donne, ma sempre i padri. E così inizia il vangelo di Matteo: Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe eccetera, è la generazione da padre in figlio. Ma Matteo ci sconcerta: inserisce in questa genealogia, che rappresenta gli antenati di Gesù, i suoi nonni, bisnonni, trisavoli, anche le donne. Gesù viene fatto discendere, secondo Matteo, da una genealogia dove vengono inserite quattro donne che, non solo erano pagane, ma pure di dubbia reputazione: non erano proprio figlie di Maria.
Gesù Figlio della prostituta Tamar. “Giuda generò Fares e Zara da Tamar”. La prima donna che viene inserita nella lista delle antenate di Gesù è Palma. Palma è il nome tradotto in italiano, in ebraico è “Tamar”. Tamar significa “palma”. È una storia (Gn 38), oggi diremo un po’ a luci rosse, come minimo scabrosa. Matteo, che non è andato all’ufficio anagrafe, non ci vuole presentare una ricostruzione storica, ma delle verità di fede. Matteo, avrebbe potuto scegliere, tra le sante donne d’Israele, Sara, Rebecca, Susanna, ma sceglie proprio, noi oggi le definiremo le più sconcertanti, quelle peggiori. La storia di Tamar è questa: Giuda, uno dei trisavoli di Gesù, cerca una moglie per il figlio Er e la trova in una Cananea. A quel tempo il confine razziale tra Israele e gli altri popoli non era ancora così marcato, Israele aveva popolato la terra di Caanan, e Giuda, che a sua volta aveva sposato una Cananea, una pagana, sceglie quale moglie di un suo figlio una pagana, appunto Tamar. Ma, scrive l’autore, “Er si rese odioso a Yahvè”. E non dice quale sia stato il motivo. Yahvè a quel tempo era abbastanza spiccio nei modi, e “Yahvè lo fece morire”. Quindi, quando uno si rendeva antipatico a Yahvè, questi lo faceva morire. Esisteva a quell’ epoca la legge del levirato. Il termine “levirato” deriva da “levir” una nostra parola latina che significa “cognato”. Secondo questa legge, quando ad una donna moriva il marito senza averle lasciato figli, il cognato aveva l’obbligo di fecondarla, di metterla incinta, e il figlio che sarebbe nato si sarebbe chiamato con il nome del marito defunto in modo che l’eredità del clan rimanesse all’interno della famiglia. Il fratello di Er, cognato di Tamar, si chiama Onan. Scrive l’autore: “Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata sua”, appunto perché il figlio doveva avere il nome del defunto; quindi “ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra per non dare una posterità al fratello”. (Non è un peccato di sesso, ma di egoismo). Ciò che lui faceva non fu gradito a Yahvè, e Yahvè lo fece morire. Rimaneva ancora un figlio, rimaneva Selah. Già due figli sono stati fatti fuori la prima notte di nozze a causa di questa donna; che sia meglio rimandarla a casa? Allora Giuda dice alla nuora: “Cara nuora, tornatene alla tua famiglia”. Una donna sposata che veniva rimandata a casa non veniva più riaccolta nel clan familiare, non aveva nessuna prospettiva di vita se non quella di dedicarsi alla prostituzione. E Tamar va a fare la prostituta sacra (con un tono di santità in più) presso un tempio idolatrico. Nel frattempo Giuda rimane vedovo e per consolarsi dal dolore va a prostitute. Tamar lo vede che va in cerca di una prostituta e si maschera per bene, per non farsi riconoscere, Giuda fa il finto tonto, in quanto non poteva non riconoscere la nuora, e le si unisce. Lei non vuole niente in pagamento, ma gli dice “dammi questo tuo gingilletto, questo tuo sigillo” e lui lo cede. Quando, dopo qualche mese, si scopre che Tamar è incinta, Giuda, venendo a sapere del disonore che avrebbe colpito la sua famiglia, decide di condannarla a morte attraverso il rogo. E Tamar dice: “Va bene, ma il padre del figlio che ho è il proprietario di questo gingillo”. Quindi Tamar è stata messa incinta dal suocero! Questa è la prima delle donne che troviamo nel vangelo, nella genealogia di Gesù secondo Matteo. Bella famiglia quella di Gesù! Aveva una bella discendenza! Tra le trisavole aveva una donna che si era messa a fare la prostituta e il figlio che nasce è frutto dell’incesto tra suocero e nuora. Potrebbe bastare! E invece l’evangelista ci sta solo preparando ad altre bordate. Di bello c’è che questo vangelo viene letto sotto Natale, è una filastrocca di nomi che a noi non dicono niente, e quindi passano uno dopo l’altro senza lasciare il segno, ma se letti in un mondo ebraico o in un mondo di persone che conoscono la bibbia questo brano fa rizzare i capelli..
Gesù Figlio della prostituta Racab. “Salmon generò Booz da Racab”. Dopo che l’evangelista ci ha fatto sorbire questo boccone amaro di questa donna prostituta, Tamar, che non è proprio eccellente, ne viene citata una seconda che era invece una prostituta proprio convinta. Tamar l’ha fatto per necessità, questa invece lo faceva proprio per mestiere. Tant’è vero che il suo nome, Racab, significa “l’allargata”. Allargata era un termine dispregiativo che si dava alle prostitute. Racab era la tenutaria di un bordello alle porte di Gerico. -E’ bene esaminare questi aspetti per comprendere la novità e lo sconcerto del messaggio di Gesù.- Allora, Racab, l’allargata, un nome che è tutto un programma, era tenutaria di un bordello nelle mura di Gerico. Ospita due spie inviate da Giosuè e in cambio della propria vita, permette ai nemici di perlustrare la città che poi sarà distrutta. Naturalmente, l’evangelista non è andato all’ufficio anagrafe, ma ci vuole dare delle verità teologiche per farci vedere che anche dalle persone che noi scarteremmo (chi andrebbe a prendere queste donne per la genealogia di Gesù!), da lì viene fuori la vita divina. Si noti che tra Racab e il figlio Booz che poi lei partorirà, intercorre un periodo di tempo di almeno due secoli. A Dio tutto è possibile, ma che una donna partorisca dopo due secoli il proprio figlio non è normale; forse un po’ difficile pure al padreterno.
Gesù Figlio della pagana Rut, testimone d’una storia poco edificante. La terza donna che troviamo è Rut. Anche lei è una pagana, una straniera, ma non solo: lei nasce da una delle pagine più scabrose della bibbia. C’era Lot, fratello di Abramo, che era rimasto con due figlie, non era rimasto più nessun uomo e le figlie han detto “qui rimaniamo senza discendenza. Ubriachiamo papà, una sera ci vai a letto tu e una sera ci vado io”. Da questo incesto nascerà il popolo dei Moabiti. Ebbene, Rut è una moabita, cioè una che ha il marchio infamante di essere discendente da un popolo incestuoso. Abbiamo conosciuto Tamar, Rahab e Rut, quest’ultima, rimasta vedova del legittimo marito, si infila di notte nel letto di un ricco possidente che fa il finto tonto. La mattina quando la vede che dormiva con lui esclama “Oh, e questa chi è?”, non se ne era accorto, Rut rimane incinta, e da lei nasce Obed, il bisnonno del re Davide.
Gesù Figlio dell’adultera Betsabea e di Davide. “Jesse generò Davide, il re; Davide generò Salomone da quella che era stata di Uria”. Arriviamo così all’ultima donna, che l’evangelista neanche nomina perché si tratta di Betsabea, una donna ambiziosa. Vedendo che David ha fatto più carriera del marito, Uria, semplice ufficiale, mentre Davide è re. Sono stati nominati altri re, ma l’evangelista dà solo a Davide il titolo di Re, equivale a titolo di Eccellenza. L’importanza di Davide in questo racconto è grande, viene sottolineato e ripetuto cinque volte. Betsabea dunque si fa sedurre da Davide, si fa mettere incinta e insieme decidono l’uccisione o l’assassinio del marito Uria. Nasce Salomone, il figlio di Betsabea che uccide Adonia, il figlio legittimo di Davide, per usurparne il trono. Ecco come comincia il vangelo: comincia con quattro donne straniere, pagane, donne che noi avremmo scartato, eppure queste sono le antenate dalle quali poi arriverà Gesù. Nel DNA di Gesù c’è questa discendenza. L’evangelista non ci presenta una storia edificante: di proposito mette nella storia genealogica di Gesù poco di buono, per mostrare l’apertura e la libertà di orizzonti che Gesù dà ai suoi e che l’evangelista ha compreso. Se Gesù proviene da una tale storia, chi può escludere persone del genere perché straniere, e immorali?!
Gesù il Figlio di Dio. “Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale è generato Gesù chiamato Cristo”. Dopo trentanove volte il verbo «generò» in attivo, nella quarantesima si trasforma in passivo: «È generato» Gesù. Quella tradizione che era cominciata con Abramo, ed era giunta al culmine della storia con Davide: “Abramo generò, Davide genero”, con Giuseppe finisce; la tradizione del popolo d’Israele, il padre finisce. Allora non esisteva il termine «genitori», ma solo un padre e una madre o donna che partorisce, come una incubatrice. Il padre dando la vita al figlio gli trasmette pure i valori, la spiritualità, la tradizione, la morale. L’evangelista dice: Quella tradizione del popolo d’Israele è cominciata con Abramo, che ha avuto il suo splendore con Davide, e che si è trasmessa da padre in figlio, termina con Giuseppe. La quarantesima volta del verbo «generò», segno di perfezione, non compare. Quindi dalla nascita di Gesù inizia qualcosa di completamente nuovo: c’è lo Spirito di Dio. Tutta la storia d’Israele termina con Giuseppe. In Gesù inizia una nuova creazione per opera di Dio. Quindi in Dio non si riflette la tradizione del suo popolo, la tradizione dei padri. Ma il Padre di Gesù è soltanto Dio. Inizia una realtà completamente nuova. L’evangelista termina la genealogia con un gioco di numeri: “La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici”. Non è vero, ma l’evangelista lo afferma ugualmente perché vuole dire la stessa cosa in altre parole. Quattordici è doppio di sette, ed è il numero che risulta da Davide, nome che in ebraico è senza vocali (dvd; d = 4, v = 6, d = 4: la somma = 14). L’evangelista ribadisce che tutta questa discendenza era finalizzata a Davide e al suo regno. Tutto questo termina con Giuseppe. Con Gesù ha inizio un’umanità nuova.
Gesù il Figlio di Dio nato da Maria. “Questa è l’origine di Gesù Cristo; essendo sua madre Maria sposata a Giuseppe”. L’evangelista intende riferirci il senso dei fatti, non la cronaca. Il matrimonio avveniva in due tappa: sposalizio e nozze. In italiano non esiste l’equivalente. Quando l’uomo ha diciotto anni e la ragazza dodici, secondo la legge, avviene la prima parte del matrimonio: lo sposalizio. L’uomo, accompagnato dai genitori, va a casa della sposa, che vede abitualmente la prima volta, perché i matrimoni vengono combinati dai genitori; si discute la dote anche per circa due o tre giorni; alla fine della contrattazione, l’uomo prende il suo velo che usa per la preghiera, e lo mette sul capo della donna dicendo: Tu sei mia moglie. – E la donna risponde: Tu sei mio marito. – Da quel momento sono sposi, e secondo la giurisdizione ebraica riguardo all’adulterio, la donna diventa adultera per un rapporto con qualunque uomo. Per l’uomo invece c’è adulterio solo quando il suo rapporto è con una donna ebrea sposata. Non lo è con una non sposata; ecco il motivo dello sposalizio a dodici anni. Né lo è con le donne non ebree. Un anno dopo, giunta la maturità sessuale della donna per procreare -il matrimonio serve solo per la prole-, la sposa, tutta inghirlandata, va in casa dello sposo, accompagnata del corteo delle amiche. Là iniziano le nozze con un gesto all’epoca molto importante, cioè con la constatazione della virginità della ragazza. Lo sposo prendeva la ragazza, andava in uno stanzino, accompagnato dagli amici dello sposo. Sono gli amici di cui Gesù dice: “Possono gli amici dello sposo digiunare?”. Non sono amici in genere; ma gli amici più intimi, con cui ha un rapporto di fratellanza, che in pratica fanno da testimoni, anche se dietro una tenda, di un rapporto tra marito e moglie. Allora l’uomo si congiunge alla moglie, dal momento che la trova vergine, lancia il famoso “grido dello sposo”, c’è nella bibbia: “Lo sposo ha gridato”, e i due testimoni che hanno sentito il grido dello sposo, vanno nella sale del banchetto e dicono: “Lo sposo ha gridato”. C’è l’applauso. Torna nel frattempo il marito con i testimoni, consegna agli sposi il telo nel quale è avvenuta la deflorazione, con le macchie del sangue. Questo è il documento della verginità della ragazza. Viene piegato e consegnato ai genitori della sposa ad eventuale testimonianza. Queste le nozze.
Gesù il Figlio di Maria concepito di Spirito Santo. Maria si trova nella prima parte del matrimonio, in cui viene dichiarata la moglie di Giuseppe. Ma ancora non hanno iniziato le nozze, non sono ancora andati a vivere insieme, e “Maria si trovò in grembo di Spirito Santo”. Non si può aggiungere niente. Non è un fatto che l’evangelista ci vuol trasmettere, ma una realtà teologica: in Gesù c’è una nuova creazione in cui Giuseppe non mette niente di suo. Giuseppe era erede di tutta la tradizione cominciata da Abramo e arrivata a Davide, vuol dire che in Gesù c’è una nuova creazione. In Gesù si manifesta la figliolanza divina, e non la figliolanza di Davide. L’evangelista intende mettere questo versetto: «Prima che andassero insieme Maria si trovò in grembo di Spirito Santo», con la creazione: «In principio Dio creò il cielo e la terra e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Come lo Spirito di Dio è stato protagonista della prima creazione, ora lo Spirito Di Dio è protagonista della nuova creazione. L’evangelista ci dice: Con Gesù è cominciata una umanità nuova, dove la vita proviene direttamente da Dio. L’evangelista non ci autorizza nessun tipo di investigazione.
Il dramma di Giuseppe il giusto. Giuseppe, suo marito, era un giusto. Era uno, cioè, di quelli che s’impegnavano a osservare tutte le prescrizioni, una specie di confraternita, alla quale appartenevano anche Elisabetta e Zaccaria che “osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore”. Erano 365 prescrizioni, tante quanti sono i giorni dell’anno, e 248 comandamenti, quante sono le componenti del corpo umano; in tutto seicentotredici leggi. Un modo per dire che tutto l’uomo, tutti i giorni, deve osservare queste leggi. Tale era Giuseppe, che deve osservare la legge del Deuteronomio riguardo alle adultere. Essa dice: Il marito deve essere il primo scagliare la pietra della lapidazione contro la moglie infedele, “così toglierai il male di mezzo a te” (Deut 22,21). Quindi Giuseppe come giusto deve denunciare la moglie adultera e partecipare ala sua eliminazione. Tutt’ora una donna incinta fuori matrimonio viene eliminata dai parenti stessi; normalmente è il fratello: si porta la ragazza alla prima festa che capita, tutti i parenti la circondano in mezzo alla folla, il fratello la strozza, altrimenti il crimine rimane impunito. Una donna incinta fuori matrimonio non ha futuro ed è il disonore della famiglia. Una volta eliminata dalla famiglia stessa, ritorna l’onore. Una specie di diritto d’onore. All’epoca di Gesù, Giuseppe perde l’onore se non denuncia la moglie adultera e non la fa ammazzare.
Giuseppe preferisce Dio alla legge di Dio. «Ma lui non voleva esporla al pubblico disprezzo». C’è qualcosa che s’incrina e già si anticipa qui la linea di Gesù. È il primo conflitto presente nel vangelo tra la legge e un sentimento che si potrebbe definire di «amore». C’è un dilemma; il vangelo apocrifo di Giacomo fa ragionare così Giuseppe: “Se nasconderò il suo errore, mi troverò a combattere con la legge del Signore”; ma se la osserva, deve fare uccidere Maria. Allora lui decide di ripudiarla di nascosto. A quell’epoca la legge del ripudio era molto larga: l’uomo poteva scrivere il libello del ripudio per motivi futili come aver bruciato il cibo. Ma Giuseppe trasgredisce la legge. E permette a Dio di fare capolino. Dio è impotente di fronte all’osservanza assoluta della legge. Mentre Giuseppe stava pensando a queste cose, ecco «un angelo del Signore», cioè Dio stesso, che nel vangelo di Matteo compare tre volte e sempre per difendere una vita: qui per difendere la vita di Gesù, poi per difenderla da Erode, e infine per confermare la risurrezione. Il numero tre vuol dire la completezza, quindi Dio interviene sempre per comunicare, difendere e trasmettere la vita.
Dio parla all’uomo in ogni modo. L’angelo del Signore gli si manifestò in sogno». Matteo è l’unico evangelista che parla di manifestazioni del Signore in sogno. Secondo il mondo ebraico è una delle maniere di Dio per entrare in contatto con gli uomini. Gli dice: “Giuseppe, figlio di Davide”. Anche Giuseppe è detto «figlio di Davide» nella discendenza; «non esitare a prendere Maria tua moglie, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo». Anche qui l’evangelista non lascia spazio a nessuna supposizione. Prendi Maria perché quel che è accaduto in lei è opera dello Spirito Santo. «Essa partorirà un figlio e gli porrai nome Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quindi il figlio non si chiama con il nome del padre o del nonno, come è uso fare allora; Gesù non si chiama Giuseppe, non si chiama Giacobbe; ma Gesù, e ne traduce il nome: «Egli infatti salverà…»: «Jeshuà», donde il nome di Gesù o Giosuè, che ha salvato il popolo ebraico conducendolo in Israele; il verbo «Joshuà»significa «salverà». Quindi, «Jeshuà perché Joshuà». In italiano si potrebbe tradurre: Si chiamerà «Salvatore perché salverà» il popolo dai suoi peccati. – È la prima volta che appare il termine «peccati»; non s’intendono le colpe; ma la direzione sbagliata della vita. Riguarda il passato di un individuo. Matteo è l’unico evangelista che nel momento dell’ultima cena aggiunge le parole di Gesù sul vino: «Questo è il mio sangue versato per voi “in condono dei peccati”». Gesù è colui che dà la vita per liberare chi lo accoglie da tutto un passato di ingiustizia. Matteo cadenza il suo vangelo con cinque citazioni dell’antico testamento; quanti sono i libri del Pentateuco attribuiti a Mosè. Questa è la prima: “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta”. Isaia profetizzava la nascita del futuro re d’Israele Ezechia che avrebbe garantito al suo popolo la libertà. La profezia diceva: “Ecco la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che significa Dio con noi”. La parte importante di questa citazione che sta a cuore all’evangelista è il nome Emmanuele = Dio con noi, su cui Matteo imposta tutto il vangelo. Vergine ha il senso di ragazza non sposata, che poi sarà incinta e partorirà un figlio. L’evangelista vede in Gesù il Dio con noi. Gesù è il Dio che si manifesta all’umanità e non si allontanerà mai da essa. Punto primario per l’evangelista che lo mette al centro del suo vangelo, dicendo: “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”; e alla fine lo conferma alla fine del vangelo con le parole di Gesù risuscitato: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni”. Dio non sta in un tempio, in un santuari; neanche nell’alto dei cieli: con Gesù Dio sta con i suoi, con coloro che lo accolgono. È il Dio con noi. Se Dio è qui, non va cercato altrove; chiede solo di essere accolto per andare con noi e in noi verso gli altri. Questo è un cambio radicale nel rapporto con Dio e nel rapporto con gli altri. Gesù rivela un Dio che non chiede culti, ma che si mette al servizio degli uomini. Questo è inaudito nel mondo religioso: la cosa che temono le religioni è questa verità di Gesù per la quale Gesù sarà ammazzato: un Dio con noi al servizio degli uomini. Chi intende rappresentarlo deve mettersi al servizio degli uomini. Chi può mettersi al di sopra degli uomini se Dio stesso si mette a loro servizio? Si è preferito uccidere Gesù, per continuare a mettersi al di sopra degli uomini. Ma Gesù ha detto ciò che ha fatto: Pratiche di culto, offerte, osservanza di leggi non sono richieste da Dio, “venuto per servire e non per essere servito”.
Gesù, la nuova creazione. Giuseppe “destatosi dal sonno fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua moglie, con la quale non ebbe rapporti finché partorì un figlio che chiamò Gesù”. Questo non vuol dire che poi li ebbe (vedi II libro di Samuele: La figlia di Saul non ebbe figli fino alla morte”: non vuol dire che li ebbe dopo la morte). Card. Ratzinger nel 1970 scrive autorevolmente: “La dottrina della divinità di Gesù non sarebbe intaccata qualora fosse stata il frutto di un normale matrimonio umano”. Quello che a noi interessa è Gesù: il suo messaggio e le sue azioni. Riguardo al come è nato Gesù, l’evangelista ci dà un’interpretazione teologica: vuol far comprendere che Gesù è una persona completamente nuova, che in lui tutta la tradizione che il Padre rappresentava, viene interrotta: non c’è. Gesù è Figlio di Dio perché in lui si manifesta pienamente la volontà del Padre. Questa è la trasposizione teologica. Come poi siano avvenuti i fatti l’evangelista non ce lo dice, e noi andremmo nelle ipotesi; il che sarebbe pericoloso, perché si può far dire all’evangelista ciò che non dice.
Canterò senza fine le tue grazie, Signore.

Non temere, Giuseppe; Maria partorirà un figlio, Gesù: egli salva il suo popolo.
Dio salva come ha promesso. “Il Signore si compiacerà di te”. Per la mia venuta nella storia, Gerusalemme è segno d’ogni comunità e d’ogni persona ricostruita oggetto della tenerezza e dell’amore di Dio, come Giuseppe. In vista del mio Natale in Maria, in Giuseppe, in te, in tutti mi sono preparato un Resto di Israele con l’editto del re Ciro (538 a.C.): è come uno sposalizio di Dio con il suo popolo, un’intimità che irradia luce su tutto il mondo: tutti i re vedranno la tua luminosa magnificenza, come quella di Giuseppe; io mi volgo a te, e tu sei in me una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella mano del tuo Dio. Con il mio Natale io pongo su di te, su ogni persona, il mio potere divino, fondamento di un intimo rapporto di amore: Come un giovane sposa una vergine, come uno sposo gioisce per la sposa; pongo sull’uomo la mia divinità e la creatura viene innalzata da serva a regina: la tua umanità in me diventa degna di adorazione, insieme con la mia divinità diventa terra sposata, mio compiacimento. Maria lo dice con altre parole: “Eccomi: avvenga di me secondo la tua parola”. Giunge da lei “l’angelo Gabriele = la Potenza di Dio” che riferisce e ha la forza di fare ciò che dice: trasforma il cuore e i minimi particolari della vita quotidiana; essi possono sfuggire alla pratica religiosa, ma non sfuggono all’azione di Dio, che tutto indirizza all’adempimento del suo progetto.
Canterò senza fine le tue grazie, Signore.

Non temere, Giuseppe; Maria partorirà un figlio, Gesù: egli salva il suo popolo.
Ti salvo: ti faccio come me, Figlio del Padre mio. Giuseppe, tipo della Chiesa e di ciascun fedele, parla per bocca di Paolo che testimonia Cristo, figlio di Davide, e racconta: Dio suscitò per Israele come re Davide, al quale rese questa testimonianza: Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio trasse per Israele un Salvatore, Gesù. Ogni fedele accoglie con entusiasmo la Parola, che racconta la storia, piena di opposizioni, difficoltà, persecuzione: per Paolo ad Antiochia di Pisidia, e per ogni fedele nel suo ambiente. Le difficoltà sono occasioni di Natale come in Giuseppe e in Paolo, così in te e nel mondo pagano: in chi non si scandalizza della mia croce, ma vive la mia pasqua fin dagli inizi, giorno per giorno. Tu pensi, come Maria, a me; e io penso a te: ti parlo nell’intimo, ti conduco con me alla meta, al Padre, in un modo che nessuno te lo potrà impedire. Fai Natale in ogni momento.
Canterò senza fine le tue grazie, Signore.

PREGHIERA EUCARISTICA
La risposta di lode e di supplica riassunta nel Vers. Resp.: Canterò senza fine le tue grazie, Signore;
si sviluppa in preghiera eucaristica fatta di:

ringraziamento: prefazio. Grazie, Padre, per il tuo Figlio:
membro eletto del tuo popolo, consacrato Messia della stirpe di Davide e di Abramo, Salvatore atteso da Israele; non disdegna di rendere partecipi fin dalle origini della sua genealogia donne che non fanno parte del popolo eletto. Così tu fai risplendere in Cristo la tua gloria in mezzo a tutti i popoli, che cantano senza fine le tue grazie, Signore;

attualizzazione: consacrazione. Ora, Padre, manda lo Spirito:
egli rende fecondo il grembo verginale di Maria; e ora rende presente Cristo fra noi;

offerta: nostra in Cristo al Padre. In noi, Padre, si offre a te Gesù:
compimento del tuo disegno di salvezza; con tutti i giusti, fino a Maria dalla quale egli è nato e a Giuseppe obbediente all’Angelo, anche noi siamo a te graditi, come una tua magnifica corona;

intercessione: per tutti vivi defunti. Tutti, Padre, accogli in Cristo:
ammessi alla tua presenza per mezzo di lui, fatti partecipi del suo amore salvifico, diveniamo diadema prezioso nella palma della tua mano, cantiamo senza fine le tue grazie;

lode finale: esplosione dei sentimenti. A te, Padre, ogni onore e gloria:
dall’umanità in Cristo tuo Figlio amato.

CONTEMPLAZIONE
Nella chiesa il Padre convoca i credenti in Cristo, in cinque tappe (v. LG 2); contempliamo oggi nei suoi cinque momenti, per es., Prendere con sé la sposa:

prefigurata, sin dall’inizio, nella Creazione: Giuseppe “prende con sé la sposa” Maria;
figurata, nella storia d’Israele, antica alleanza Dio “prende con se” Israele, comunità ricostruita;
compiuta, in Cristo Gesù, negli ultimi tempi: Gesù “prende con sé” l’umanità in Maria-Giuseppe;
manifesta, nella chiesa, per lo Spirito effuso: Gesù continua a “prendere con sé” ogni persona;
completa, alla fine, nella gloria della Trinità. Il Padre “prende con sé” l’umanità in Cristo Gesù.

Preghiamo:
O Padre, che distruggi il peccato della terra e fai regnare su di noi il Salvatore del mondo; fa’ che cantiamo senza fine le tue grazie. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Condividiamo la nostra preghiera (neretto) nello schema della preghiera ecclesiale (colori).