01/11/2003 – SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI – 2003
SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI
31ª domenica tempo ordinario B – 1 Novembre 2003
RACCOGLIMENTO
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Amen.
Ascolta, Israele: io sono il Signore Dio tuo…! Ascolta, Chiesa che sei in..; ascolta N [tuo nome]
Eccomi, Signore: aiuta tutti come ora aiuti me ad ascoltarti (Dt. 6,4; Lc 8,21; Is 6,8; Ebr 10,1s; Rm 12,1s).
LETTURA
“I fedeli leggano almeno i testi della messa, in famiglia o in privato” (PCFP 13). – Fa crescere “ascolto e risposta” in tutti noi, Signore! (Gregorio, Cassiano, Benedetto). Vedi la voce LETTURE nel sito.
MEDITAZIONE – RILETTURA
Il Signore parla di se stesso, “Buona Notizia” nel vangelo; “compimento delle promesse”, della prima lettura; “fondamento della chiesa”, nella seconda lettura: Gesù rivela ciò che sta facendo in noi. – Facci conoscere la tua opera, Signore, mentre rileggiamo vangelo, I e II lettura alla luce del “versetto al vangelo”:
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò sollievo. Alleluja.
CELEBRAZIONE – VITA
Il Signore Gesù si rende presente! Con lo Spirito e la Sposa diciamo: “Vieni, Signore Gesù!”. E Gesù risponde: “Sì, ecco, io vengo” (Apc. 22,17s). È in atto l’azione di Gesù nella messa e nella vita di ciascuno (Cfr PNMR 55, f): Gesù in noi continua a offrirsi al Padre per tutti. Antifona alla Comunione:
Beati I puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati, perché di essi è il regno dei cieli.
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi: vostro è il regno di Dio.
Gesù salì sulla montagna, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Li ammaestrava. Gesù vede le folle come Dio vedeva il suo popolo ai piedi del Monte Sinai. Gesù sale la montagna che richiama la montagna del Sinai. Come dire che Gesù ora porta a compimento ciò che Dio ha cominciato a fare su quel monte. Si mette a sedere: ecco il gesto di chi porta a compimento l’opera iniziata da Dio al Sinai. I discepoli che si avvicinano rappresentano chiunque desidera seguire Gesù. Si avvicinano a Gesù che per primo è venuto e si è avvicinato a loro: è quindi la sua presenza che li attira. Li ammaestra, cioè consegna loro la «magna charta», il distintivo, la carta d’identità del cristiano in quanto discepolo di Gesù, che comunica la propria vita a ogni «affaticato e oppresso» vicino a lui. Ogni affaticato e oppresso diventa così proprietario del regno; si va da un estremo all’altro: «affaticati e oppressi», «rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Cosa suscita in noi tutto questo? Lo esprimiamo con le parole: I puri di cuore vedranno Dio. Queste parole si sviluppano in preghiera eucaristica fatta di gratitudine: grazie,Padre, che ci hai donato il Figlio tuo Gesù; attualità: ora, Padre, Gesù sia in mezzo a noi; offerta: in noi, Padre, si offre a te Gesù; intercessione: tutti, Padre, accogli in Cristo; lode totale: a te, Padre, ogni onore e gloria per Cristo.
Beati i poveri in spirito. E’ la prima e l’ultima beatitudine, conseguenza e causa del regno. Il povero è colui che si trova nel bisogno e domanda aiuto, implora. Ha un senso profondamente religioso. Ha una disposizione d’animo “spirito”, una condizione dello spirito che rende l’uomo atto per il Regno di Dio. Il povero concretizza così e rappresenta l’uomo religioso ideale al quale sono rivolte le promesse antiche. A lui ora si indirizza Gesù, proclamandolo povero, si, ma anche afflitto, cioè apre la sua anima afflitta a Dio; a Dio il povero è spinto nella sua sete ai bene; in Dio confida nelle prove e nelle persecuzioni; egli è mite, è misericordioso, è semplice e schietto, operatore di pace. Il povero nello spirito ha tutto questo insieme. Il prototipo è Gesù stesso “mite e umile di cuore”. Così è anche il discepolo di Gesù. Cosa suscita in noi questa Parola? Esprimiamo i sentimenti che suscita in noi ripetendo: I puri di cuore vedranno Dio…
Beati gli afflitti i miti, gli affamati e gli assettati di giustizia. I poveri sono afflitti ma non rabbiosi, bensì miti. Sono miti, ma non insignificanti, bensì assetati ed affamati di giustizia. E sono beati. Il motivo è detto con immagini diverse ma è lo stesso: “Di essi è il regno dei cieli = la comunione con Dio. Proprio questa comunione di vita divina, per l’uomo che non ha altro bene – rifugio – aiuto – fiducia, se non in Dio, è consolazione, vedendosi realizzate le attese più vive. Attese di vita piena. E finché non si realizzano, uno è afflitto. Ed è mite nella sua afflizione perché è sicuro di Dio, dell’eredità celeste, simboleggiata dalla terra promessa. Questa attesa di Dio con mitezza nell’afflizione è la perfezione morale dell’uomo, è la somma dei beni spirituali da parte di Dio, ed è detta: fame e sete di giustizia, simboleggiata dai due bisogni fondamentali: fame, sete. Questi poveri, afflitti, miti, affamati e assetati “vedranno Dio”.
Beati i misericordiosi, beati gli operatori di pace. Beati voi e rallegratevi. La misericordia è l’attributo di Javé. Egli si rivela Dio di Bontà e di Misericordia. Anche Gesù presenta Dio suo Padre come “il Padre delle misericordie”. Lo stesso Gesù è detto “misericordioso” (Ebr.2,l7). Ai suoi discepoli Gesù comanda di essere misericordiosi come è misericordioso il Padre che è nei cieli: usare misericordia per trovare in sé la Misericordia. Il discepolo che usa misericordia = dà l’interno del suo bicchiere, del suo cuore, purifica se stesso: è tutto puro, egli prega Dio così: “Crea in me, o Dio, un cuore puro”, che trova ciò che in è seminato e accolto, e da dove non esce malvagità.
Beati i puri di cuore perché vedranno Dio.
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi: vostro è il regno di Dio.
Oggi e Domani, uniti nella liturgia della chiesa. Due giorni per fermarci. Oggi e domani viviamo due momenti toccanti dell’anno liturgico: c’è una suggestiva sapienza, che si nasconde nell’accostamento dei “i Santi” a “i morti” (così, di solito, li chiama la gente). Sono due giorni in cui Gesù ci invita, attraverso la Chiesa, a fermarci un attimo per alzare lo sguardo. Ci fermiamo per guardare con serenità oltre l’orizzonte della nostra vita, e per abbracciare con il cuore le persone che abbiamo amato e che non sono più con noi.
Due giorni per sperare. Siamo ormai alla conclusione di questo anno liturgico. Riscopriamo la speranza, ricordando a tutti noi di “non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all’intera esistenza, e offre motivazioni solide e profonde per l’impegno quotidiano”. Ecco la meta finale, la nostra speranza! E’ davanti a noi, dipinta con pennellate stupende dalla Parola di Dio che attua ciò che dice. Oggi c’è una sete terribile di questa speranza: i giovani ne hanno bisogno più di qualsiasi altra cosa per trovare l’entusiasmo di vivere, i anziani per essere sereni, i sacerdoti per vivere un ministero efficace, le coppie sposate per non scoraggiarsi davanti ai problemi dell’educazione dei figli, gli ammalati per testimoniare la pasqua di Gesù, le persone sole per essere incoraggiate, tu, per dare alla tua vita quel senso profondo, che senti venire meno. “Senza speranza non c’è possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità, l’esistenza è solo un’opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l’effimero ha il primato … non si deve assumere più nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio”.
Desiderio e nostalgia. Oggi, primo Novembre, è il giorno del desiderio. Domani, della nostalgia. Desiderio e nostalgia, due stati d’animo. Una sola risposta: la fede in Gesù. “L’uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente “interminabile: ricerca di verità e ricerca di una persona a cui affidarsi. In Gesù Cristo, che è la Verità, la fede riconosce l’ultimo appello che viene rivolto all’umanità, perché possa dare compimento a ciò che sperimenta come desiderio e nostalgia”.
Noi, santi già e non ancora. Le letture odierne ci illustrano la via alla santità: l’Apocalisse ci mostra la meta finale di gloria che ci attende, la 1ª lettera di Giovanni la nostra condizione attuale già preordinata per questa glorificazione piena, Il Vangelo il percorso che collega questi due momenti. Presente, futuro, cammino: la santità è, per tutti noi, un “già e non ancora”. Il libro dell’Apocalisse (riprendendo Ez 9) ci parla di un sigillo, impresso sulla fronte: chi lo riceve è destinato ad essere risparmiato dalla giustizia di Dio, appartiene a Dio, è da Lui protetto. Questo segno, sui figli di Israele, è caparra della salvezza, una salvezza che è aperta a tutti: una moltitudine immensa, di ogni nazione, razza, popolo e lingua, il Nuovo Israele. I santi ce l’hanno fatta: dopo esser passati attraverso questo mondo, contemplano Dio e l’Agnello, e intercedono per noi che siamo rimasti quaggiù, in una comunione d’amore. Il sigillo che hanno sulla fronte è un tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico che, nell’antica grafia, aveva la forma di una croce.
Già. Il giorno del nostro Battesimo mamma e papà ci hanno portato in braccio fino alla porta della chiesa; qui si è svolto questo dialogo con il parroco: “Per vostro figlio che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?”. – “Il Battesimo”. E subito dopo: “Caro bambino, con grande gioia la nostra comunità cristiana ti accoglie. In suo nome io ti segno con il segno della croce. E dopo di me anche voi, genitori, farete sul vostro bambino il segno di Cristo Salvatore”. Ecco come nasce il Nuovo Israele, il popolo che Dio nostro Padre ha destinato alla santità. Siamo stati creati per essere santi: Dio, mediante il Battesimo, ci ha già “messi in carreggiata” segnandoci con un sigillo che, più che essere una semplice tau sulla fronte, è il suo stesso Spirito. I santi sono coloro che hanno proseguito su questa “carreggiata” in cui Dio li aveva posti il giorno del Battesimo, e sono giunti al traguardo. Anche noi possiamo e dobbiamo fare come loro: siamo già santificati e in cammino verso la santità piena, che si rivelerà però solo in Paradiso. Santità è: non uscire di strada!
La caparra. Lo Spirito Santo (ma ci siamo mai accorti che è dentro di noi?) è caparra della nostra santità piena, è “l’inizio del compimento, l’inizio della gloria, parte di essa: non pegno, ma caparra. Il pegno non è l’inizio del pagamento, ma qualcosa che viene dato in attesa del pagamento. Una volta effettuato il pagamento, il pegno viene restituito. Non così la caparra. Essa non viene restituita al momento del pagamento, ma completata. Fa parte già del pagamento. L’amore di Dio che quaggiù pregustiamo, grazie alla caparra dello Spirito, è dunque della stessa qualità di quello che gusteremo nella vita eterna, non però della stessa intensità” (Cantalamessa, Il canto dello Spirito, pag. 224). La santità che quaggiù ci sforziamo di vivere nel quotidiano, è della stessa qualità di quella che vivremo in Paradiso, con i santi. Non possiamo immaginarcela bene, ma solo pregustarla: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato; sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui”.
Un germe. “C’è in tutti noi come un germe che si protende verso una primavera possibile che non conosciamo. La nostra verità è lì: noi siamo al futuro, la nostra verità è una verità futura”. Il Vangelo delle Beatitudini la il frutto pieno del germe, la più completa ed esigente definizione della santità, una specie di sintesi del cristianesimo, e siccome il cristianesimo è riassumibile nell’amore, le Beatitudini sono il Manifesto dell’Amore, un Manifesto moderno, santo, comunitario, aperto.
Moderno. Non poniamoci oggi davanti a modelli umani di santità (ciascun santo, nel proprio tempo, è vissuto in un contesto spesso improponibile oggi), ma attraverso i santi guardiamo al modello totalizzante e sempre attuale del Santo per eccellenza: Gesù. Potremmo sostituire, ogni volta che nel Vangelo delle Beatitudini ricorre la parola “beati”, il nome “Gesù” (come anche in 1 Cor 13 sostituire a “carità”, “Gesù”) e avremmo davanti tutta una serie di suoi atteggiamenti da imitare, per camminare spediti verso la santità, oggi.
Santo. Le Beatitudini sono il programma che i santi hanno realizzato, ma un programma in se stesso santo, cioè “separato” dalla mentalità di questo mondo. Mentre infatti la ragione ci dice: beati i ricchi, i sani, i potenti, il Vangelo ci dice: beati i poveri, gli afflitti, i perseguitati. Non si può continuare a “zoppicare con entrambi i piedi” (1 Re 18,21), è necessario scegliere una sola prospettiva, se si vuole essere in pace.
Comunitario. Gesù non ha mai detto: “Beati quelli che si ritirano nel deserto per stare con Dio” e neppure “Beati quelli che digiunano”: le condizioni di esistenza che propone nelle Beatitudini implicano sempre un rapporto con gli altri. Questa attenzione agli altri comporta spesso una limitazione dei nostri mezzi: sicurezza, forza per far valere i nostri diritti, tranquillità, riconoscimento delle nostre ragioni.
Aperto. Tutti coloro, credenti e non, che lavorano per un mondo di pace, tutti coloro che si adoperano perché ci sia più amore in questo mondo, sono sulla via della santità. E’ opportuno esercitarci a scoprire/riconoscere questa santità nascosta e instaurare un dialogo.
“Ognuno è stato creato per essere santo. Siamo stati creati per lo stesso fine: amare ed essere amati. Siamo stati creati per grandi cose. Dio mostra la sua grandezza usando la nostra nullità. Il mondo è pieno di santi viventi”.
PREGHIERA EUCARISTICA
La risposta di lode e di supplica, per esempio del Versetto Responsoriale:
Beati i puri di cuore perché vedranno Dio,
si sviluppa in preghiera eucaristica fatta di:
ringraziamento: prefazio. Grazie, Padre, per il tuo Figlio:
in lui proclamiamo la tua gloria oggi nella solennità di tutti i santi;
attualizzazione: consacrazione. Ora, Padre, manda lo Spirito:
in Gesù fra noi, possiamo riconoscere con tutti i santi la tenerezza del tuo amore di Padre;
offerta: nostra in Cristo al Padre. In noi, Padre, si offre a te Gesù:
come in tutti i santi che ora godono la tua vita totale e ci proteggono;
intercessione: per tutti vivi e defunti. Tutti, Padre, accogli in Cristo:
passando da questa mensa eucaristica al banchetto festoso del cielo;
lode finale: esplosione dei sentimenti. A te, Padre, ogni onore e gloria:
nella festosa assemblea di tanti fratelli che lodano in eterno il tuo nome.
CONTEMPLAZIONE
Nella chiesa il Padre convoca i credenti in Cristo, in cinque tappe (v. LG 2);
contempliamo oggi nei suoi cinque momenti, per esempio: La Visione:
prefigurata, sin dall’inizio, nella Creazione: la visione, di ogni uomo che viene alla luce;
figurata, nella storia d’Israele, antica alleanza: la visione, di Dio che vuole l’uomo partecipe della sua gloria;
compiuta, in Cristo Gesù, negli ultimi tempi: la visione, di Gesù che splende alla destra del Padre;
manifesta, nella chiesa, per lo Spirito effuso: la visione, dell’assemblea che celebra e contempla i fratelli gloriosi;
completa, alla fine, nella gloria della Trinità: la visione, dell’umanità amatissima in Gesù Figlio unigenito.
Preghiamo:
O Padre, che in Gesù tuo Figlio inviti a te tutti noi affaticati e oppressi; donaci di essere beati vedendo te con purezza di cuore. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Condividiamo la nostra preghiera (neretto) nello schema della preghiera ecclesiale (colori).