13/10/2002 – T. ORDINARIO – ANNO A – 28 DOMENICA – 2002
XXVIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
Anno A – 13 ottobre 2002
MEDITAZIONE o RILETTURA
versetto al vangelo:
Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo ci conceda lo spirito di sapienza,
perché possiamo conoscere qual è la speranza della nostra chiamata.
Antifona alla Comunione:
Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio.
Regno dei cieli come banchetto di nozze.
Il regno di Dio, la vita di Dio con gli uomini, è una festa di nozze: per tutti. Dio ci chiama sempre, tutti, di nuovo, alla sua festa; anche quando lo rifiutiamo, cioè quando “ammutoliamo” o rispondiamo a Gesù in modo evasivo: “Non lo sappiamo” (per esempio riguardo a Giovanni Battista se “è da Dio o dagli uomini”). In Gesù, Dio ci chiama di nuovo, dicendo: “Che ve ne pare?”, e si presenta alla fine come uno che fa festa per il proprio Figlio (Vangelo), venuto per farsi escluso con gli esclusi, e “asciugare le lacrime su ogni volto” di chi merita di essere “gettato fuori nelle tenebre” (prima lettura). Gesù c’invita di nuovo alla gioia piena: c’invita ad accettare il dono della sua veste nuziale. Ciascuno di noi, raffigurato in quei prìncipi dei sacerdoti e anziani del popolo, convertito e pieno di gioia come Paolo, può dire: “Tutto io posso in Colui che mi dà forza” (seconda lettura). Venendo ora in noi alla comunione Gesù dice: Oggi mi rendo presente in atto di farti partecipe della mia vita di gaudio, nel simbolo di una festa nuziale. Partecipando a questo banchetto eucaristico noi acclamiamo:
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla, perché “se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Cor 13). Infatti “Gesù riprese a parlare ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”. Gesù è giunto a Gerusalemme: è giunto alla vigilia della sua passione e morte; e narra la parabola “ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”; oggi si direbbe: al clero e al governo. Costoro gli hanno contestato l’autorità di fare quel che fa; Gesù mostra che non sono sinceri con se stessi quando non riconoscono né Giovanni Battista né lui stesso. Ma subito riallaccia con loro il discorso, dicendo: “Che ve ne pare?”, e in tre parabole cerca di attirarli a sé mostrando che Dio è Padre: ci dà la vita per il suo affetto (parabola dei due fratelli chiamati alla vigna: domenica 26 A); Dio è padrone di tutta la terra: ce la dà in eredità perché ci alimenti (parabola dei vignaioli omicidi: domenica 27 A); Dio Padre è re: gode che abbiamo la dignità di figli liberi come lui (parabola delle nozze per il figlio: di oggi). Ogni uomo invitato alle nozze riconosce:
Davanti a me tu prepari una mensa. “Padre santo e misericordioso, che ci nutri con il corpo e sangue del tuo Figlio”, sei come “un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio”. – In Gesù si celebrano le nozze tra cielo e terra, si unisce l’amore pieno e reciproco tra Dio e uomo. Tutta l’opera di Dio nel mondo è una festa di nozze. Motivo della festa è la sua presenza, la scoperta del suo amore per noi, la nostra riconciliazione con lui, il nostro ritorno nella casa del Padre. Egli è all’opera per queste nozze fin dal principio, “poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rom 8,29s); il Figlio festeggiato è un corpo solo: capo e membra. Gesù giunge dunque a Gerusalemme, compimento delle promesse di Dio al suo popolo: Dio ha promesso la sua unione sponsale con Israele; ed ecco, arriva Gesù, suo Figlio, lo Sposo di queste nozze attese e da tempo preparate. Lo riconosciamo in questa celebrazione e diciamo:
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu con me mi richiami. “Egli mandò i suoi servi a chiamare i chiamati alle nozze. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo… tutto è pronto; venite alle nozze!”, e poi manda a chiamare gli esclusi alla fine delle loro vie. Le vivande sono già sulla mensa, la festa è iniziata con la venuta del Figlio tra noi: “Tutto è pronto”. Il Padre ci conosce da sempre e ci chiama alle nozze, cioè ad essere conformi all’immagine del Figlio suo: “Quelli che ha predestinati li ha anche ‘chiamati’, giustificati, glorificati” (cfr Rom 8,30). Ora “chiama i chiamati!”. Finalmente “tutto è pronto”. Lo sposo è il Figlio amatissimo, Gesù di Nazaret. Egli viene per rinsaldare il legame di amore che sin dalla creazione ci unisce al nostro Creatore e Padre. Gesù corrisponde in pieno all’amore del Padre per noi, suoi figli; Gesù non disdegna di chiamarci “fratelli”, e fare la nostra parte di esclusi: mentre non vogliamo andare alle sue nozze, lui viene da noi; mentre non ci curiamo della sua presenza e ci occupiamo dei nostri affari insultando e uccidendo, lui rimane con noi e ci dice: “Chi fa questo al più piccolo lo fa a me” (25). – Lo fa al Figlio fatto “servo”, mandato dal Padre a “chiamarci”. Gesù chiama noi, ci mette sulle labbra la sua parola perché in nome suo ci possiamo presentare liberamente al Padre; e noi, bravi religiosi tutti intenti alle nostre osservanze, trascuriamo la sua presenza, non preferiamo la sua persona (Matteo 21-25, circa un quinto del vangelo, sono tentativi di Gesù a cambiare i religiosi “principi dei sacerdoti e anziani del popolo”): egli ci chiama e ci parla come un pastore che cerca la sua pecorella smarrita. E alla fine la sua tenerezza vince il nostro rifiuto che ci fa soffrire. Noi lo riconosciamo con tutta verità e diciamo:
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Accogliendo infatti Gesù camminiamo con lui verso la meta; ignorandolo o rifiutandolo, giungiamo alla “fine delle vie”: le nostre esistenze finiscono nel nulla, siamo messi fuori nelle tenebre da noi stessi, legati mani e piedi con le nostre osservanze, nel pianto e stridore di denti in città alle fiamme! Ma là incontriamo ancora Gesù, giunto per noi anche lui alla “fine della via”, a Gerusalemme: alla passione morte risurrezione. Il Vivente ci parla, il seme della sua parola ci rigenera, da esclusi diventiamo “suoi servi”, generatori di vita incorruttibile, e ci manda con l’ordine: “Andate dunque sino alla fine delle vie”, della mia e della loro: “agli incroci delle strade”, quindi; “e quanti trovate, chiamate alle nozze” (“i chiamati” che come voi “non ne erano degni”). – Impariamo ad accettare la veste offerta in dono alla porta della sala nuziale (in Oriente il re, oltre che ‘invitare gli invitati’, donava la veste del convito all’invitato): ci riscaldiamo al calore dell’amico Gesù. Egli stesso ci nutre con la sua Parola, si fa nostro cibo e bevanda, ci dà la sua carne e il suo sangue: ci riveste di lui, della sua dignità; con la stessa nostra persona, sedotta dal suo amore, divenuta parte del suo corpo, continua a dire: “Questo il mio corpo donato, il mio sangue versato”. La nostra esistenza vuota trova pienezza. In questa celebrazione non siamo più schiavi, ma liberi; non più stranieri, ma familiari e quindi, a pieno titolo, nel numero degli invitati alle nozze. Con lui risorto anche noi risorgiamo: siamo inondati di vita nuova; in lui riscopriamo la gioia della fraternità: “per la comunione al corpo e al sangue di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisce in un solo corpo”. Ciascuno è trasformato come il pane e il vino in Cristo, ed esclama:
Abiterò per sempre nella casa del Signore.
Regno dei cieli come banchetto di nozze.
Il Signore prepara un banchetto e asciuga le lacrime su ogni volto. Il nostro Dio è il Papà di Gesù; egli elimina tutti i mali riportando ciascuno all’immagine originale del suo Figlio; tutti i popoli sono fatti all’immagine di Gesù: egli dà vita di festa, come un banchetto di nozze, perché in lui c’è solo il Bene. In questa celebrazione Gesù è il compimento di tutte le immagini belle di cibi e bevande. Egli è il Risorto, il Vivente che ha vinto la morte per tutti una volta per sempre: sono annientate miseria e lacrime che appannano la vista e rendono ciechi. Esperienza di tutto questo mediante la comunione con lui ci fa esclamare: “ Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci ed esultiamo per la sua salvezza”.
Abiterò per sempre nella casa del Signore.
Regno dei cieli come banchetto di nozze.
Tutto posso in Colui che mi da forza, dice con Paolo ogni fedele che ha scoperto il Signore Gesù, Unico suo Bene, e Forza inesauribile. Tutto il resto diventa relativo, compresa la morte: impara ad essere povero, ricco, sazio, affamato, nell’abbondanza e nell’indigenza; libero da tutto e da tutti. Ed è l’unico Bene che desidera per ofni persona. Ed esclama: “Felicità e grazia mi saranno compagne tutti e giorni della mia vita”.
Abiterò per sempre nella casa del Signore.
PREGHIERA EUCARISTICA
La risposta di lode e di supplica del Vers. Resp., Abiterò per sempre nella casa del Signore,.
si sviluppa in preghiera eucaristica fatta di:
ringraziamento: prefazio. Grazie, Padre, per il tuo Figlio: tu ci fai suoi commensali nel banchetto del regno;
attualizzazione: consacrazione. Ora, Padre, manda lo Spirito: possiamo testimoniare come fedeli la sua presenza;
offerta: nostra in Cristo al Padre. In noi, Padre, si offre a te Gesù: egli ci fa partecipi del suo rapporto con te nel nostro quotidiano;
intercessione: per tutti vivi defunti. Tutti, Padre, accogli in Cristo: alle sue nozze tu inviti il mondo intero;
lode finale: esplosione dei sentimenti. A te, Padre, ogni onore e gloria: da tutti gli invitati rivestiti di Cristo tuo Figlio.
Condividiamo la nostra preghiera (neretto) nello schema della preghiera ecclesiale (colori).