25/10/2009 – T. ORDINARIO – ANNO B – 30 DOMENICA – 2009
Preparazione alla celebrazione della messa.
30ª DOMENICA TEMPO ORDINARIO.
Anno B – 25 Ottobre 2009
Ci Raccogliamo
davanti al Signore Gesù, che si dona, muore, risorge, trasmette lo Spirito: ci fa suoi «tralci» (Gv 15,5) con il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia (Nota 1). Rinnoviamo il segno dell’adesione a lui.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Amen. – Gesù dice: “Ascolta, Israele: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore; e il prossimo come te stesso”.
Dio parla a noi tramite noi stessi come nel celebrare la messa. Dico, quindi: “Ascolta, N.”, [nome proprio, e d’altre persone]. Ciascuna/o poi può dire: “Ascolta, Chiesa che sei [in Padova]”, [“… in famiglia N,”, “… in parrocchia N.”, “… in comunità N.”]; e tutti lo ripetiamo. «In persona» dei citati ci presentiamo al Padre, come membra di Gesù che «sta alla destra di Dio e intercede per noi» (Rom 8,34), in atto di presentargli ciascuna persona: tutta l’umanità, in se stesso.
Con Paolo possiamo dire: “Sono lieto di dare compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24).
Con disponibilità, quindi, accogliamo la nostra esistenza quotidiana in Cristo, ripetendo insieme: “Eccomi, Signore! Aiuta tutti, come ora aiuti noi ad ascoltarti”. Offriamo il nostro corpo come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio: come nostro culto nello Spirito (cfr Rom 12,1); come prolungamento della messa nella vita.
Leggiamo
il formulario liturgico della messa corrispondente, da Ingresso a Dopocomunione, secondo le disposizioni della chiesa (nota 2). Cogliamo una parola da contestualizzare (vedi: «Rileggiamo») e da ripetere: “N.,…”, . appena il Signore si annunzia (= ci viene in mente) durante la giornata.
Rileggiamo
i testi, cominciando dal vangelo, dove Gesù si rivela Buona Notizia, parlando della sua e nostra pasqua che celebriamo; dove Gesù si rivela “Compimento” delle promesse della prima lettura; e si rivela “Fondamento” della sua comunità, la chiesa, nella seconda lettura (vedi Principi e Norme per l’uso del Lezionario e del Messale Romano). Rileggiamo vangelo e I-II lettura in rapporto al vangelo, adorando in ascolto, pregando, contemplando Gesù Risorto, presente fra noi.
Il VANGELO (Mc 10,46-52).
Struttura del vangelo liturgico. Il brano di Mc 10,46-52 appartiene alla tradizione premarciana. Il nome del miracolato potrebbe indicare che il racconto è stato tramandato in una comunità che conosceva il personaggio. Tale comunità parlava aramaico (nel racconto marciano ci sono elementi aramaici, il nome di Bartimeo e l’appellativo Rabbunì, che negli altri due Sinottici non ci sono). Letterariamente il testo si presenta come un’unità compatta, dove i personaggi scandiscono il racconto: la figura del cieco (vv. 46-47), l’intervento dei molti (vv. 48-50), la guarigione operata da Gesù (vv. 51-52).
La prima lettura (Ger 31,7-9) associa il testo del vangelo a Ger. che presenta Dio «raccoglitore».
La seconda lettura (Eb 5,1-6) rafforza il tema presentando Gesù, sommo sacerdote, in viaggio, perché “in grado di sentire giusta compassione” per tutti i bisognosi, e ricondurli al Padre.
Tematica Liturgica.
La fede è ‘il cammino’ che il credente compie, seguendo (=imitando) il Maestro (Mc 10,46-52). Questo cammino conduce il credente fino al Padre (Colletta particolare). In sintesi così viene presentato il tema del discepolato.
Per poter «vedere» il Maestro e seguirlo, il credente ha bisogno di ricevere il dono del «poter vedere», di essere «chiamato ad un incontro personale con Cristo» come il cieco mendicante di Gerico. Bartimeo diventa così protagonista e modello di quel discepolato, che contiene in sé, contemporaneamente la disponibilità e la fatica dell’uomo a credere (ostacolato molto spesso dalla «gente») e il dono illuminante della chiamata (favorita e operata molto spesso dalla «gente») da parte di Cristo.
I testi eucologici guidano la celebrazione: Adoriamo in Ascolto, Preghiamo, contempliamo.
Che cosa vuoi che io faccia per te? – Rabbonì, che io veda!
Grandi cose hai fatto, Signore, per noi.
ASCOLTIAMO IN ADORIZIONE.
1. Ti adoriamo, Signore Gesù: che ascolti il grido di chi t’invoca.
La figura del cieco (vv. 46-47) è statica («seduto lungo la strada»). Tutti gli altri sono in movimento. L’invocazione del cieco è di tipo salmico («abbi pietà di me»: cf. il Sal 51,3). Il titolo dato a Gesù, «Figlio di Davide», poteva avere una valenza messianica, ma poteva avere anche una valenza meno impegnativa: chiamare uno «Figlio di Davide» equivaleva a riconoscere in quella persona un individuo capace di esercitare potere esorcistico e taumaturgico. Con buona probabilità il titolo «Figlio di Davide» è stato visto dalla comunità di Marco come titolo espressamente messianico.
2. Ti adoriamo, Signore Gesù: che ti servi dei fratelli per aiutare i fratelli; così tu ci aiuti tutti.
L’intervento dei molti (vv. 48-50) è strano: prima è sfavorevole al cieco e successivamente è attivo nell’avvicinare il cieco a Gesù. Sotto il profilo teologico, la gente ha un atteggiamento paragonabile a quello avuto dagli apostoli nei confronti dei bambini che si avvicinavano a Gesù. Com’è successo allora, quando Gesù ha espresso la sua preferenza per i bambini, anche adesso Gesù è più sensibile al «piccolo» bisognoso che al «buon senso» della gente. Gesù chiama colui che non può vederlo per mezzo di chi vede, la fòlla. Il simbolismo è chiaro: Gesù chiama per mezzo dei credenti (che alle volte sono ostacolo e non ponte verso Dio) coloro che non credono.
I verbi adoperati dalla folla per chiamare Bartimeo sono gli stessi adoperati da Gesù per dare coraggio ai discepoli in pericolo (“Coraggio”: cf. Mc 6,49-50: «Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: “È un fantasma”, e cominciarono a gridare, perché tutti lo avevano visto, ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: “Coraggio, «Io Sono», non temete! ”: vista come capacità di vedere l’«Io Sono» = Dio in Gesù);
per indicare il comando di guarigione sui malati (“Alzati”: cf. Mc 2,9.11: “Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati o dire: «Alzati», prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di «rimettere i peccati» [perdono dei peccati = vista], ti ordino – disse al paralitico – «alzati», prendi il tuo lettuccio e và a casa tua”;
Mc 3,3: «Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo! ”»; Mc 9,26-27: «Il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: “È morto”. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli ‘si alzò’ in piedi»);
o quello di risurrezione per i morti (“Àlzati»: Mc 5,41: «Presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”»).
«Vista» per Bartimeo, che seguirà Gesù con gli altri, vuol dire avere anche lui il potere di Gesù, come loro, di dire ad altri, per comando di Gesù: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”.
3. Ti adoriamo, Signore Gesù: che ci dai forza per superare le difficoltà nell’incontrare te.
Bartimeo reagisce. Gettare via il «mantello», che simboleggia nel mondo orientale lo status sociale e la vita stessa di chi lo porta, equivale a gettar via l’umanità vecchia, la vecchia vita. La guarigione del cieco è molto di più della guarigione terapeutica: è segno di una salvezza donata (da Gesù) e accolta (dal cieco). La fede lo ha salvato. La guarigione che gli permette di vedere, perciò, indica – la lettura è sempre a livello redazionale – la nuova capacità dell’ex-cieco di vedere in Gesù non solo il «benefattore» (Figlio di Davide) capace di guarirlo, ma anche il Rabbunì (Maestro che vince la morte) da seguire per la «strada» (= la «Via del cristianesimo»: cf. il testo greco di At 9,2: «Saulo si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci “della dottrina” [tês odoû = della Via] di Cristo, che avesse trovati»).
4. Ti adoriamo, Signore Gesù: che ci chiami a essere tuoi discepoli e apprendere la tua via.
Rabbunì, che io abbia la vista! Sotto la superficie esteriore, «fisica», della guarigione del cieco Bartimeo si cela un segno più profondo, messianico. Si noti innanzitutto la speranza messianica, sottolineata dall’invocazione ripetuta due volte: «Figlio di Davide!» (vv. 47.48). Vede quel grande Gesù con il cuore, prima che con gli occhi: lo sente avvicinarsi, fermarsi, dire: “Chiamatelo!”. È troppo bello! Come vedere fino in fondo questo Gesù!? Gli esce dal cuore: “Rabbunì” (= Maestro che vinci la morte! Caro, caro, caro!), “che io veda” fino in fondo, oltre gli occhi: io conosca te, uomo così grande che ti fai così vicino, come Dio! Quell’espressione (“Rabbunì”) nasconde un mondo. Solo in un altro passo evangelico risuona quel titolo, sulla bocca di Maria Maddalena quando, nel giardino, si sente chiamare per nome da Gesù subito dopo la sua resurrezione (cfr. Gv 20,16).
La cecità interiore sta per essere cancellata. Anzi, Gesù stesso, l’unico interprete del profondo nell’uomo, dichiara la «fede» in Bartimeo come piena adesione a lui, Gesù.
Bartimeo è «povero», abbandonato ai bordi della strada ed emarginato dalla folla; ma ha piena fiducia in Dio (anàw), e cerca (ant. d’introito: “gioisca il cuore di chi cerca il Signore”) di «vederlo» in Gesù, che risponde e spiega: «La tua fede ti ha salvato» (v. 52: non solo guarito). La reazione del miracolato all’azione e alla parola di Gesù, poi, è significativa: «Prese a seguirlo per la strada» (v. 52). La «sequela» del discepolo ha una risonanza continua in questa seconda parte del vangelo di Marco: è l’itinerario di Gesù verso il suo destino di morte e di gloria. La storia di un miracolo diventa così la storia di una vocazione alla fede e al discepolato (nota 4). Un cammino verso la meta preparata, senza ritorni. È Gesù il Maestro, 1. che sceglie e chiama, 2. a un rapporto alla pari, 3. ad apprendere non qualcosa come una dottrina, ma la «persona» stessa di Cristo-Rabbunì (note 5 e 6).
5. Ti adoriamo, Signore Gesù: che riporti tra le consolazioni il cieco e lo zoppo.
Riporterò tra le consolazioni il cieco e lo zoppo. Questo carme di Geremia è tratto dai capitoli 30 e 31, chiamati il «libretto della consolazione» del profeta, vissuto nel momento più tragico di Gerusalemme (nota 7), quello della sua distruzione sotto le armate babilonesi (586 a.C.). Tema fondamentale è la speranza dopo la rovina.
Il «resto d’Israele», che il Signore vuole liberare, presenta solo miseria, dolore e debolezza: tra loro c’è «il cieco, lo zoppo, la partoriente» (v. 8). Ma con loro il Signore costituisce la sua famiglia. Infatti, l’immagine paterna del versetto nove (v. 9: «Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; …perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito») richiama la parentela che lega l’umanità a Dio (Os 11,1: “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio”), e che è alla base dell’impegno salvifico di Dio nei confronti del suo «primogenito» (Es 4,22-23: “Allora tu dirai al faraone: Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Io ti avevo detto: lascia partire il mio figlio perché mi serva! Ma tu hai rifiutato di lasciarlo partire. Ecco io faccio morire il tuo figlio primogenito! ”).
«Vedere» per Bartimeo vuol dire seguire Gesù, far parte alla sua famiglia come un «primogenito».
6. Ti adoriamo, Signore Gesù: nostro sommo sacerdote Redentore.
Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek. Ritorna il tema centrale della lettera agli Ebrei: il sacerdozio perfetto di Cristo. Il tema ora viene affrontato sul versante sacrificale ed espiatorio e si sviluppa in una celebrazione della vicinanza di Cristo sommo sacerdote all’umanità che egli deve liberare dal peccato. L’accento è posto soprattutto sull’umanità del sacerdote Cristo. Egli comprende e «conpatisce» le nostre miserie, avendole vissute. Riusciamo, così, a ritrovare un nesso reale con le altre due letture proprio sulla base della vicinanza sacerdotale di Gesù all’umanità. Appellandosi ai due testi classici del messianismo, i salmi 2 e 109(110), l’autore presenta la funzione sacerdotale di Cristo risorto come strumento di liberazione dalla miseria e debolezza dell’umanità. Le parole della stessa lettera agli Ebrei sono forse il commento ideale a questo ritratto di Cristo sacerdote: «Egli doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo» (Eb 2,17).
PREGHIAMO.
Aderendo all’agire dello Spirito, per mezzo di Cristo che è: «1. Ringraziamento; 2. Pane; 3. Offerta; 4. Intercessione; 5. Lode»:
1. «Ringraziamo», raccontando l’Amore del Padre in Cristo verso di noi (prefazio). Grazie, Padre, per il tuo Figlio: sacerdote giusto e compassionevole verso quanti gemono nel pianto.
2. «Siamo nutriti» di Cristo, che, preso il «pane» e rese grazie, si dona vero cibo e bevanda di salvezza (consacrazine, transustanziazione). Ora, Padre, manda lo Spirito, che perfeziona l’opera di Gesù nel mondo, compiendo ogni santificazione: in Gesù fra noi, possiamo riconoscere la tenerezza del tuo amore di Padre.
3. «Diveniamo» luogo riservato a Gesù, che in noi continua a «donare» se stesso (offerta). In noi, Padre, si offre a te Gesù: il nostro servizio fraterno ti dà gloria.
4. «Intercediamo» per tutti in Cristo, che «intercede» per noi, e ci fa intercessori con lui per gli altri (intercessione). Tutti, Padre, accogli in Cristo: vivi, defunti, celebranti; fin d’ora impariamo a vedere e a sentire, come lui, in cammino verso di te.
5. «Glorifichiamo» pienamente il Padre, per Cristo, con Cristo, in Cristo nello Spirito Santo che ci fa santi (lode finale). A te, Padre, ogni onore e gloria: celebrando il mistero della fede, luce che compie in noi quanto esprime.
O Padre, Dio della vita: chi segue Gesù, luce del mondo, ha la luce della vita; fa che ti lodiamo per le tue opere. Per Cristo nostro Signore. Amen.
CONTEMPLIAMO.
la storia del piano di Dio.
Nella chiesa il Padre convoca i credenti in Cristo, in cinque tappe (Lumen Gentium, 2; vedi: nota 3). Contempliamo oggi nei suoi cinque momenti, per esempio, La Visione:
prefigurata, sin dall’inizio, nella Creazione: visione, degli occhi: nel cieco guarito;
figurata, nella storia d’Israele, antica alleanza: visione, di Dio: Salvatore del resto, Israele;
compiuta, in Cristo Gesù, negli ultimi tempi: visione, di Gesù: luce del mondo;
manifesta, nella chiesa, per lo Spirito effuso: visione, della Chiesa: illuminata come il cieco da Gesù-Vita;
completa, alla fine, nella gloria della Trinità. visione, dell’umanità: in Gesù Figlio amato.
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NOTE
Nota 1. Dâbhâr: parola e fatto.
La Parola di Dio, Proclamata in questa celebrazione, richiamata dall’antifona alla Comunione (cf T. Ordinario – Anno B – 30ª Domenica – 26/10/2003), e approfondita anche da altri testi eucologici, «attua ora» sacramentalmente in noi la redenzione, realizzata fin dall’evento pasquale della morte e risurrezione di Gesù il sette – nove Aprile del trenta d.C.
La Parola di Dio «attua ora sacramentalmente in noi la redenzione», perché lo stesso evento pasquale di duemila anni fa, con la sua efficacia, è in atto nella Parola «Proclamata» in quest’Eucaristia; la stessa «opera di Gesù» è in atto quindi in circostanze diverse: «storiche» di quel tempo in Israele, «sacramentali» (gesti e parole) ora nella sua Parola proclamata.
La Parola («Dâbhâr») è «Fatto e Parola» («Dâbhâr Javè» = «Fatto e Parola di Javè»); lo stesso «Fatto» storico della Pasqua di Gesù (che soffre, muore, trasmette lo Spirito, risorge) per opera dello Spirito Santo è presente in questa «Parola» proclamata nell’assemblea liturgica; anzi, «in previsione» della sua pasqua redentrice era già presente fin nel grembo di Maria.
Noi ora, come Maria, diciamo: “Sì”, con il cuore bendisposto nel celebrare. La redenzione, operata nei «misteri» (gesti e parole di Gesù nel rito), trasforma tutta la nostra vita. La Parola proclamata nella liturgia, cioè, lo stesso Gesù pasquale, ispira e attua i vari momenti della celebrazione e dell’esistenza in chi l’accoglie.
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Nota 2.
Concelebrazione dell’assemblea.
“I fedeli partecipino con frequenza alle messe, anche feriali, e, quando ciò non è possibile, siano invitati a leggere almeno i testi delle letture corrispondenti in famiglia o in privato”, (vedi Partecipazione e Celebrazione delle Feste Pasquali, Congreg. per il Culto, n.13; del 16.01.1988).
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Nota 3.
Contemplazione della storia del piano salvifico di Dio.
«I credenti in Cristo, (il Padre) li ha voluti chiamare a formare la santa Chiesa, la quale, già annunciata (“prefigurata”) in figure sino dal principio del mondo, mirabilmente “figurata” nella storia del popolo d’Israele e nell’antica Alleanza [1], stabilita (“compiuta”) infine «negli ultimi tempi», è stata manifestata (“manifesta”) dall’effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli (“completa”). Allora, infatti, come si legge nei santi Padri, tutti i giusti, a partire da Adamo, «dal giusto Abele fino all’ultimo eletto» [2], saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale» (Lumen Gentium 2).
Cinque tappe della formazione della chiesa (da kalèô = chiamo; participio passato = èkklesa: ecclèsia, chiesa = chiamata): prefigurata, figurata, compiuta, manifesta, completa.
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nota 4
L’incontro con Gesù è sempre, e per tutti, «un’iniziazione alla fede in Cristo» (cf richiamo dell’agire di Dio in «tutto il popolo», nella prima lettura, riconosciuto da «tutti» allora, e ora dall’assemblea: «“Il Signore ha fatto grandi cose per loro”. Grandi cose ha fatto il Signore per noi», Sal Resp. 125).
Questa incomincia con una manifestazione di Gesù nella vita dell’uomo: è necessario che Cristo passi di là (cf Mt 20,30). Ma questa manifestazione è misteriosa: il cieco che rappresenta l’uomo sulla «via» della fede, non vede Gesù; intuisce soltanto la presenza del Signore negli avvenimenti (v. 47a), ma esprime già la sua fede «rimettendosi all’iniziativa» salvifica di Dio (v. 47b). Questa apertura a Dio è subito contestata dal mondo che lo circonda (v. 48a) ed è necessario tutto il coraggio per mantenere il proposito di apertura all’uomo-Dio (v. 48b).
Il candidato alla fede si sente così oggetto dell’attenzione di alcuni che gli rivelano la chiamata di Dio, lo incoraggiano e lo invitano a convertirsi («alzarsi» o risuscitare, e «gettare via il mantello» o spogliarsi del vecchio uomo: vv. 49 e 50). Allora s’intreccia il dialogo finale: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” – “Rabbonì, che io veda!” (v. 51). È l’impegno definitivo in un intensissimo rapporto personale, presentato sotto forma di domanda e risposta, per mettere bene in risalto la libertà totale delle due parti, che contraggono l’alleanza.
Infine, la vista è restituita al cieco come una «visione della fede» (vv. 51-52): un’attrazione, un fascino irresistibile, che lo impegna immediatamente a «seguire» Cristo-Via, per la strada: simbolo.
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Nota 5
E lo seguiva «sulla strada» (10,52) fa inclusione con “vicino alla strada” (10,46).
Due indicazioni locali, due diverse situazioni di vita. Come si è passati dall’una all’altra? Mediante l’azione potente di Gesù, non senza il concorso della gente, che prima ostacola e poi favorisce per ordine di Gesù. Quando se ne stava vicino alla strada era cieco e mendicante, non poteva muoversi come gli altri, la sua vita era quella di un emarginato; qualcuno lo metteva lì al mattino vicino alla strada, con il lembo del mantello steso a terra per ricevere qualcosa. Quel giorno era molta la gente che passava, ma probabilmente nessuno pensava a lui, attratto da altri interessi. Egli capì quando venne a sapere che passava Gesù Nazareno. Ma egli era là e lui qui in disparte. Come farsi notare?
Per fortuna non gli mancava la voce, e urlò: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Si sentì rimproverare, ma egli urlò ancora più forte: «Figlio di Davide, abbia pietà di me!». Vinse!
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Nota 6
Tutti i verbi del brano sono intensivi:
Bartimeo, il cieco alle porte di Gerico, ‘grida’, non semplicemente chiama; ripetutamente ‘grida’ (tra l’altro, il grido del cieco è diventato il paradigma dell’invocazione della preghiera di Gesù, della preghiera del cuore!); ‘getta’ via il mantello, non semplicemente se lo toglie; ‘balza’ in piedi, non semplicemente si alza; si rivolge a Gesù da dentro una conoscenza che aveva già lavorato il suo cuore, sebbene non avesse ancora mai potuto vederlo in faccia e, appena lo vede, lo ‘seguiva’. Tutto il racconto assume una valenza simbolica «precisa, universale», che la liturgia fa risaltare (I let,sal.).
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nota 7
La nuova Alleanza con Dio.
Geremia,31 è il capitolo dov’è profetizzata la nuova alleanza di Dio con il suo «popolo», scritta sul loro cuore, descrive il «ritorno del Signore con i suoi» figli a Gerusalemme dopo il periodo amaro della schiavitù. Il salmo responsoriale celebra l’«esperienza» di quel ritorno e la «riconsegna» del popolo al suo destino di bene e di felicità, come il Signore aveva promesso. Il racconto evangelico mostra che cosa annunzia quella profezia, anzitutto dalla parte di Dio e poi dalla parte dell’uomo: Gesù e Bartimeo, divenuti personaggi chiave che svelano la natura del segreto di Dio per l’uomo.
Troppo a lungo Bartimeo ha dovuto soffrire, troppo a lungo ha dovuto aspettare, troppo a lungo aveva sperato per indugiare ancora: tutto scoppia, prorompe, perdendo ogni ritegno (cf verbi forti). Gesù, per primo, vive con impazienza nell’attesa di rivelare l’amore di Dio per gli uomini: non vede l’ora di arrivare a Gerusalemme! Riconosce il desiderio di Bartimeo, lo risana e lo salva, facendolo suo compagno di viaggio «vedente» reso capace del suo «segreto d’amore» in croce da parte di Dio.
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condividiamo (cfr neretto) la preghiera della Chiesa (cfr colori).