05/07/2009 – T. ORDINARIO – ANNO B – 14 DOMENICA – 2009
Preparazione alla celebrazione della messa.
XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO
Anno B – 5 Luglio 2009
Ci Raccogliamo
davanti al Signore Gesù, Dio fatto uomo, che si dona, muore, risorge, trasmette lo Spirito (Nota 1).
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Amen.
Ascolta, Israele: io sono il Signore Dio tuo…! (Ascolta N. [tuo nome]; ascolta, Chiesa che sei in.. [nomi di parrocchie, comunità, famiglie. Le presentiamo al Padre come membra di Gesù che vive presentandogli tutta l’umanità. Gli presentiamo in Cristo anche singole persone: ascolta N. [nome d’una persona]. E tutti, con disponibilità, accogliamo la nostra esistenza quotidiana in Cristo, dicendo):
Eccomi, Signore, aiuta tutti, come ora aiuti noi ad ascoltarti.
Leggiamo
il formulario liturgico della messa corrispondente, da Ingresso a Dopocomunione, secondo le disposizioni della chiesa (nota 2). Cogliamo una parola da contestualizzare, «vedi sotto: Rileggiamo», e da ripetere alla venuta del Signore nella giornata.
Rileggiamo
i testi, cominciando dal vangelo, dove Gesù, Buona Notizia, parla di se stesso,
“Compimento” delle promesse della prima lettura; “Fondamento”
della chiesa, comunità di Gesù (vedi Principi e Norme per l’uso del Lezionario e del Messale Romano).
Rileggiamo vangelo e I-II lettura in rapporto al vangelo, adorando, pregando, contemplando Gesù, presente.
Il VANGELO (Mc 6,1-6).
Struttura.
Il testo evangelico (Mc 6,1-6) si può ripartire in quattro brevi pericopi.
La descrizione della scena del rifiuto (vv. 1-2ª: «Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga»).
La reazione della gente (vv. 2b-3: «E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo»).
La reazione di Gesù (vv. 4-6ª: «Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato, se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità»).
E il breve sommario (6b: «Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando»).
Il testo biblico originale del Vangelo incomincia con questa frase: «Partito di là, andò nella sua patria … ». Questa specificazione del «luogo» (“Partito di là … ») ha un duplice ruolo. Da una parte associa l’odierno episodio di Nazaret (Mc 6,1-6) ai due miracoli compiuti da Gesù a Cafarnao: la guarigione dell’emorroissa (Mc 5,25-34) e la risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,21-24.35-43). Dall’altra, prepara la meraviglia dei nazaretani di fronte al loro compaesano (= sapevano dei miracoli).
Il Lezionario sopprime l’espressione: «Partito di là … », e fa iniziare il testo in modo classico: «In quel tempo … ». Il legame con ciò che precede cessa. Sotto il profilo interpretativo, la variante liturgica concentra l’attenzione sul rifiuto fatto dai nazaretani nei confronti di Gesù.
Il testo evangelico liturgico è unito a due rifiuti: quello subito da Ezechiele e da Paolo. La prima lettura riporta Ezechiele (Ez 2,2-5), che anticipa, sotto diversi aspetti, la figura e le esperienze del Messia; ha dovuto vivere un’analoga esperienza di rifiuto. Si tratta di quell’esperienza che tutti i cristiani, quando sono tali, possono essere chiamati a sperimentare.
La seconda lettura (2Cor 12,7-10) riporta Paolo immerso in «oltraggi, difficoltà, persecuzioni, angosce».
Tematica.
Il rifiuto di Nazaret è un avvenimento penoso del ministero di Gesù in Galilea. L’episodio di rifiuto è mitigato in Marco dallo stupore dei compaesani per la sua sapienza e per i suoi prodigi (v. 2), e dagli episodi di guarigione, operati per l’imposizione delle mani (v. 5). Luca lo pone all’inizio della vita pubblica di Gesù, come paradigma/esempio della sua vita che sfocia nella passione morte risurrezione.
«I discepoli che lo seguirono» saranno aiutati da questa scena a non rimanere delusi quando saranno respinti dalle persone che, in un’ottica di giudizio umano, avrebbero dovuto invece accoglierli.
Gesù, Messia, compimento delle promesse di Dio, ha vissuto questa tremenda esperienza; compie la figura di tutti i profeti, come Ezechiele (Ez 2,2-5); mostra d’esserne cosciente, citando il detto: “Un profeta non è disprezzato, se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Il Padre lo risusciterà come segno di approvazione di tutto il suo agire.
Paolo è rifiutato, ma se ne compiace, perché “quando sono debole – egli precisa – è allora che sono forte”; lo può dire come discepolo di Gesù, risuscitato, approvato da Padre. Paolo è un esempio del cristiano.
I testi eucologici, che trasformano in realtà «positive» i testi biblici succitati, in gran parte «negativi», ci guidano nella celebrazione: «Preghiamo» e «Contempliamo» con la Parola di Dio.
Gesù è rifiutato dai suoi: i pregiudizi e i criteri della Verità.
ADORIAMO.
1. Ti adoriamo, Signore Gesù: che vai nella sinagoga per farti conoscere da tutti (Nota 4).
Descrizione della scena del rifiuto (vv. 1-2ª: «Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga»). Il rifiuto nella sinagoga di Nazaret (6,1-6°) è, in un certo senso, parallelo a quello, dell’inizio, nella sinagoga di Cafarnao (1,21-28), e si presenta come un brano paradigmatico/tipico di una situazione ripetitiva.
«Gesù venne nella sua patria». Nazaret (nota 5) era la patria di Gesù (Mc 1,9.24; 10,47; 14,67; 16,6. Patria = luogo degli antenati più che il luogo di nascita), «e i suoi discepoli lo seguirono». Gesù viene nella sua patria, e si aggiunge che «i suoi discepoli lo seguirono». Le due notizie annunciano due sviluppi. Prima si parlerà di quanto succede a Nazaret, poi della sequela. Ma già quanto avviene qui nel suo villaggio serve all’educazione dei discepoli, perché quello che capita a Gesù un giorno capiterà a loro. Debbono perciò imparare dal Maestro come si vivono le situazioni di rifiuto.
Eccolo lì tra la sua gente, dove ha vissuto la sua fanciullezza e ha fatto «l’artigiano» (Alcuni traducono «falegname», ma è troppo specifico e non sicuro). La sinagoga di Nazaret è lo scenario dell’episodio. «Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga». Gesù frequentava la sinagoga con assiduità (Mc 1,21.39; 3,1; 6,2). Era uno dei suoi punti preferiti per il suo insegnamento pubblico. Egli insegnava anche all’aperto (cf. Mc 3,7; 4,1) o in case private (cf. Mc 3,20.23.31). Come sempre ha fatto «in giorno di sabato» (1,21; 3,2), Gesù si reca alla sinagoga. L’evangelista non scende nei particolari, e subito dice: «Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga», questo significa che Gesù, conosciuto come Maestro, fu invitato a leggere e a rivolgere alcune parole all’assemblea.
2. Ti adoriamo, Signore Gesù: suscitato da Dio per noi, in mezzo a noi; donaci di credere in te.
La reazione della gente (vv. 2b-3: «E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo»). Si parla della reazione della gente all’agire e al rivelarsi di Gesù. Qui, come nel fatto di Cafarnao, non siamo informati sul passo biblico letto e commentato da Gesù. All’evangelista interessa solo la reazione della gente, e l’annota dicendo, che «si meravigliavano/restavano sbigottiti» proprio come avvenne a Cafarnao (stesso verbo in 1,22 e 6,2: ekplêssô).
Tutti furono colti da stupore di fronte al rivelarsi di Gesù; e qui, a prima vista, sembrerebbero favorevoli, perché si chiedono l’origine di quanto constatano: “Da dove costui ha ricevuto tali cose?” Cioè, “la sapienza che gli è stata data, e la forza di compiere prodigi con le sue mani”. A noi, educati nella fede, viene spontaneo pensare che in Gesù si rivela «la potenza di Dio», quella «sapienza che è dono di Dio». Lo stesso evangelista che usa il passivo: «gli è stata data», insinua ciò. Ma i Nazaretani, che pure conoscevano le Scritture, non riuscirono a ricordare quanto aveva detto Mosè: “Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt 18,15); e non riuscirono a cogliere «la novità di Dio in Gesù»; non riconobbero in lui un «inviato di Dio». Non seppero passare da quanto Gesù faceva alla domanda sull’identità di Gesù, e in ciò sono simili a tutte le folle che Gesù finora ha incontrato sul suo cammino.
Solo i discepoli si erano chiesti una volta: «Chi è costui?» (4,41), ma la gente mai, e i Nazaretani neppure se la sognavano una simile domanda. Essi già sapevano chi era Gesù: un artigiano, il figlio di Maria; la sua parentela era nota a tutti loro, e la possono elencare. Non vollero andare oltre. Rimasero incasellati in giudizi puramente umani, e non riuscendo a capire «si scandalizzarono di lui» (così letteralmente, cioè, «trovarono in lui un ostacolo – in greco: skandalon – alla fede»). Dio, fatto uomo come noi, è un ostacolo. Di fronte a Gesù i compaesani reagiscono, dimostrando di non conoscere colui che presumevano di aver già conosciuto. Le domande sono umanamente comprensibili. Di Gesù si era detto che fosse «fuori di sé» (Mc 3,21) e che operava con l’aiuto di Beelzebul (Mc 3,22). Il dubbio dei nazaretani sulla sapienza (sofia) e sui prodigi (dunàmeis) di Gesù indica qualche cosa di grave, d’importante. Sapienza e prodigi sono caratteristiche di Dio (Gb 12,13: “In lui risiede la sapienza e la forza, a lui appartiene il consiglio e la prudenza!”), e del Messia (Is 11,2: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza”). I nazaretani – dice velatamente Marco – stavano rifiutando Dio e il suo Messia, presenti ed evidenti nell’insegnamento di Gesù e nelle sue opere. Le domande circa la parentela manifestano la piccola mentalità che fa dei propri orizzonti l’orizzonte del mondo. Per i nazaretani Gesù non può essere il Messia perché le sue origini sono note. Lo scandalo per la pretesa messianica di Gesù impedisce agli abitanti di Nazaret di scorgere la cosa più ovvia: c’è qualche cosa di straordinario tra l’apparente umile origine sociale e la grandezza della sua sapienza e dei suoi prodigi.
3. Ti adoriamo, Signore Gesù: che vieni in nostro soccorso, suggerendoci la «sorte» del Profeta.
La reazione di Gesù (vv. 4-6ª: «E Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato, se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità».
La reazione di Gesù, tipica del sapiente, si concretizza nella citazione di un proverbio popolare (“Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua»). L’importanza del detto di Gesù è profetica. Gesù parla di un rifiuto che viene dai compaesani (“nella sua patria») e dai suoi più intimi (“parenti» e «casa sua»). La sua missione in questo modo è segnata dalla solitudine ed è paragonata a quella dei profeti (cf. Mt 5,12: «così hanno perseguitato i profeti»; Mt 23,37: «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti»). Dietro a quel semplice proverbio già si intravede la fine drammatica del Signore. La reazione di Gesù (“si meravigliava della loro incredulità») mostra con chiarezza la possibilità, che l’uomo ha di scorgere in Cristo il vero e unico Salvatore.
Gesù cercò di aiutarli e parlò di sé come «profeta», quasi a indicare una soluzione: Dio non suscita forse improvvisamente ovunque e tra gente qualunque i suoi profeti? Si pensi ad Amos, il pecoraio di Tekoa. Niente da fare. Gesù si accorse quanto era vero il proverbio: “Un profeta è disprezzato solo nella sua patria”. È necessario approfondire la parola di Dio con disponibilità e supplicando lo Spirito Santo, che apra il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, come ai discepoli di Emmaus (Lc 24,45: «Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: “Così sta scritto, il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno…). Allora troveremo come le Scritture annunziano Gesù: «Disprezzato». Gesù vede se stesso come il Servo di Dio rifiutato dai suoi (Is 53,3s: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato»), come colui che ha faticato invano (Is 49,4: «Io ho risposto: “Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio”).
«E non poté compiervi nessun prodigio; solo guari alcuni imponendo loro le mani. E si meravigliò della loro incredulità». Non tutti lo hanno rifiutato. Certamente egli stesso si meravigliò della loro incredulità. Però guarì alcuni imponendo loro le mani, segno che aveva trovato in essi la fede. Il rifiuto sembra totale, ma attorno a lui, anche se piccola, c’è pur sempre la sua famiglia (3,34-35). È il segno della speranza
I miracoli, infatti, se per certi aspetti generano la fede, per altri la presuppongono. Nella redazione l’evangelista ha voluto sfumare la situazione difficile (“e non vi poté operare nessun prodigio»), annotando che Gesù compì alcuni miracoli.
Sembra che Marco voglia suggerire al lettore come Gesù fondi la sua missione sull’obbedienza a Dio e non certamente sul consenso degli uomini.
4. Ti adoriamo, Signore Gesù: venuto anche nel nostro territorio, come ovunque.
Il breve sommario (6b: «Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando»). La prima frase dice tutta la grandezza di Gesù: rifiutato dai suoi (6, l-6a), «percorre i villaggi dei dintorni predicando». Fra poco lo insegnerà anche ai suoi discepoli (6, 11: “Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro”). Il rifiuto non lo ferma nella sua missione; anzi, lo impegna di più e si fa persino aiutare dai suoi discepoli. Anche per essi è giunto il momento di mettersi all’opera, di realizzare il secondo motivo per cui sono stati scelti: «Diventare pescatori di uomini» (1,17); «andare a predicare con il potere di scacciare i demoni» (3,14-15).
La loro iniziazione è a un punto di svolta. Finora, come discepoli, si sono limitati a «seguirlo» (1,16-20) e a «stare con lui» (3,14). Ora sono già coscienti che la vita apostolica è fatta di successi e insuccessi, di lode e critica, di accoglienza e rifiuto, e di un rifiuto che può giungere a propositi di morte (3,6: «E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire»). Tutto ciò finora è capitato al loro Maestro. Ora tocca a loro, e quanto Marco narra dei Dodici, non può non riflettere, allo stesso tempo, quanto, dopo i Dodici, avviene nella comunità cristiana, impegnata nell’annunzio. Tre sono le puntualizzazioni: che cosa si deve fare, come presentarsi al mondo, come comportarsi quando si è accolti e quando si è rifiutati. Lo indica Gesù nel seguito del vangelo.
5. Ti adoriamo, Signore Gesù: che ti rendi presente e ci «parli» anche se non ti accogliessimo.
Gesù adempie il rifiuto del profeta Ezechiele. “Sono una genìa di ribelli; sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”. La prima lettura riporta Ezechiele (Ez 2,2-5), che anticipa, sotto diversi aspetti, la figura e le esperienze del Messia; ha dovuto vivere un’analoga esperienza di rifiuto. Ezechiele, profeta dell’esilio babilonese (VI secolo a.C.), descrive due volte la sua vocazione. Da questa seconda narrazione emerge la drammaticità della missione profetica, destinata a un mondo ottuso e ostile. Il profeta è così «martire» nei due sensi di «testimone» e di «uomo immolato». Da sempre Israele è un popolo ostinato e peccatore, «una genìa di ribelli»; ma «ascoltino o non ascoltino», non potranno far tacere e ignorare la voce del profeta. La parola che egli deve proclamare non è sua, ma è di Dio stesso. La fermezza sarà la caratteristica di questo «parroco degli esuli» a Babilonia, anche se si sentirà circondato sempre e solo da «cardi e da spine» che lo trafiggono (2,6: “Ma tu, figlio dell’uomo non li temere, non aver paura delle loro parole; saranno per te come cardi e spine e ti troverai in mezzo a scorpioni; ma tu non temere le loro parole, non t’impressionino le loro facce, sono una genìa di ribelli”).
6. Ti adoriamo, Signore Gesù: con la tu pasqua tu trasformi il male in bene, disagi in meriti.
“Mi vanterò delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo”. La seconda lettura (2Cor 12,7-10) riporta Paolo immerso in «oltraggi, difficoltà, persecuzioni, angosce sofferte per Cristo», perché – egli aggiunge – quando sono debole, è allora che sono forte”. Smascherando i giochi di potere presenti nella comunità di Corinto, Paolo ribadisce la limpidità del suo apostolato. Egli sente che il suo ministero deve necessariamente attraversare molte prove, perché «bisogna attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno» (At 14,21). La verifica nella sofferenza è voluta da Dio stesso che ha inflitto a Paolo «una spina nella carne» (v. 7). Per alcuni si tratterebbe di tormenti causati da un vivo istinto lussurioso, per altri sarebbe la menzione di una malattia fisica cronica (cfr. GaI 4,13-15), per altri ancora sarebbe la forte preoccupazione sperimentata da Paolo nei confronti della non conversione della comunità ebraica (cfr. Rm 9-11). Assalito, anzi, «schiaffeggiato» da satana, egli sa che non è solo e abbandonato in questa prova e nella sua testimonianza evangelica: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (v. 9). Nasce così una celebrazione della forza della parola di Paolo proprio nella debolezza congenita, nell’umiliazione che presenta, nello scandalo che essa suscita.
PREGHIAMO.
Aderendo all’agire dello Spirito, per mezzo di Cristo che è: «1. Ringraziamento; 2. Pane; 3. Offerta; 4. Intercessione; 5. Lode»:
1. «Ringraziamo», raccontando l’Amore del Padre in Cristo verso di noi (prefazio). Grazie, Padre, per il tuo Figlio: I nostri occhi sono rivolti a te, che in Gesù, Dio fatto uomo debole hai rivelato la tua gloria.
2. «Siamo nutriti» di Cristo, che, preso il «pane» e rese grazie, si dona vero cibo e bevanda di salvezza (consacrazine, transustanziazione). Ora, Padre, manda lo Spirito, che perfeziona l’opera di Gesù nel mondo, compiendo ogni santificazione; e noi, nella nostra infermità, sperimentiamo la Potenza della risurrezione di Gesù.
3. «Diveniamo» luogo riservato a Gesù, che in noi continua a «donare» se stesso (offerta). In noi, Padre, si offre a te Gesù: che ci porta tutti a vita nuova.
4. «Intercediamo» per tutti in Cristo, che «intercede» per noi, e ci fa intercessori con lui per gli altri (intercessione). Tutti, Padre, accogli in Cristo: vivi, defunti, celebranti; trasformati in fedeli ascoltatori e seguaci del tuo Figlio.
5. «Glorifichiamo» pienamente il Padre, per Cristo, con Cristo, in Cristo nello Spirito Santo che ci fa santi (lode finale). A te, Padre, ogni onore e gloria: da tutti in Cristo, per lo Spirito, che illumina i cuori, e li apre a te.
Padre, il tuo Verbo fatto carne ha posto la sua dimora in mezzo a noi, perché chi l’accoglie diventi tuo figlio in lui; donaci di tenere gli occhi rivolti a lui da divenire tuoi figli. Per lo stesso Cristo nostro Signore. Amen.
CONTEMPLIAMO.
la storia del piano di Dio.
Nella chiesa il Padre convoca i credenti in Cristo, in cinque tappe (Lumen Gentium, 2; vedi: nota 3). Contempliamo oggi nei suoi cinque momenti, per esempio, La forza nella debolezza:
prefigurata, sin dall’inizio, nella Creazione: forza nella debolezza, in Nazaret da cui “nulla di buono”, e in «malati» disponibili, «guariti» come segno di nazareni da sanare.
figurata, nella storia d’Israele, antica alleanza: forza nella debolezza, lo Spirito in Ezechiele, trasformato da uomo debole in profeta resistente a una genìa di ribelli.
compiuta, in Cristo Gesù, negli ultimi tempi: forza nella debolezza, Potenza e Sapienza di Dio in gesti e parole di Gesù;
manifesta, nella chiesa, per lo Spirito effuso: forza nella debolezza, è la grazia di Dio in Paolo schiaffeggiato da satana.
completa, alla fine, nella gloria della Trinità. forza nella debolezza, la carità infinita di Dio nell’umanità, divenuta figlia di Dio in Gesù che muore e risorge «per noi».
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NOTE
Nota 1.
La Parola di Dio, Proclamata in questa celebrazione, richiamata dall’antifona alla Comunione (cf .. – Anno B – ª Domenica – ../../..), e approfondita anche da altri testi eucologici (cf ad es. ../../..), «attua ora» sacramentalmente in noi la redenzione, realizzata fin dall’evento pasquale della morte e risurrezione di Gesù il sette – nove Aprile del trenta d.C.
La Parola di Dio «attua ora sacramentalmente in noi la redenzione», perché lo stesso evento pasquale di duemila anni fa, con la sua efficacia, è in atto nella Parola «Proclamata» in quest’Eucaristia; la stessa «opera di Gesù» è in atto quindi in circostanze diverse: «storiche» di quel tempo in Israele, «sacramentali» (gesti e parole) ora nella sua Parola proclamata.
La Parola («Dabàr») è «Fatto e Parola» («Dabàr Javè» = «Fatto e Parola di Javè»); lo stesso «Fatto» storico della Pasqua di Gesù (che soffre, muore, trasmette lo Spirito, risorge) per opera dello Spirito Santo è presente in questa «Parola» proclamata nell’assemblea liturgica; anzi, «in previsione» della sua pasqua redentrice era già presente fin nel grembo di Maria.
Noi ora, come Maria, diciamo: “Sì”, con il cuore bendisposto nel celebrare. La redenzione, operata nei «misteri» (gesti e parole di Gesù nel rito), trasforma tutta la nostra vita. La Parola proclamata nella liturgia, cioè, lo stesso Gesù pasquale, ispira e attua i vari momenti della celebrazione e dell’esistenza in chi l’accoglie.
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Nota 2.
“I fedeli partecipino con frequenza alle messe, anche feriali, e, quando ciò non è possibile, siano invitati a leggere almeno i testi delle letture corrispondenti in famiglia o in privato”, vediPartecipazione e Celebrazione delle Feste Pasquali, Congreg. per il Culto, n.13; del 16.01.1988);
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Nota 3.
«I CREDENTI IN CRISTO, (il Padre) li ha voluti chiamare a formare la santa Chiesa, la quale, già annunciata (“prefigurata”) in figure sino dal principio del mondo, mirabilmente “figurata” nella storia del popolo d’Israele e nell’antica Alleanza [1], stabilita (“compiuta”) infine «negli ultimi tempi», è stata manifestata (“manifesta”) dall’effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli (“completa”). Allora, infatti, come si legge nei santi Padri, tutti i giusti, a partire da Adamo, «dal giusto Abele fino all’ultimo eletto» [2], saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale» (Lumen Gentium 2). Si contemplano quindi cinque tappe della formazione della chiesa (da kalèô = chiamo; partic. passato = èkklesa gr, ecclèsia lat, chiesa it = chiamata): prefigurata, figurata, compiuta, manifesta, completa.
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Nota 4.
IL RIFIUTO E LA VOLONTÀ DI MORTE DEL POTERE RELIGIOSO (3,6: «I farisei uscirono subito – dopo che Gesù guarì nella sinagoga l’uomo dalla mano rattrappita – con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire») non impedisce l’entusiasmo delle folle, sempre in crescendo (Mc 1,33: «Tutta la città era riunita davanti alla porta»; 2,2: «Si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola»; 2,12: «Quegli – il paralitico – si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”»).
Le folle accorrono a lui sempre più numerose, e provengono da ogni parte della Palestina, anche dai territori pagani (3,7-8); si raccolgono in massa attorno a lui, tanto che egli e i suoi discepoli non avevano neppure il tempo di mangiare (3,20: «Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo»); erano così numerose che egli salì su una barca per insegnare (4,1); e quando le lasciò per andare oltre il mare, al ritorno se le ritrova lì sulla spiaggia, come se l’aspettassero (5,21) e, infine, mentre si reca da Giairo, lo seguono e lo pigiano da ogni parte (5,24).
Che cosa pensa di Gesù tutta quella gente? Chi era per loro? Credevano in lui? E che cosa credevano di lui? A queste domande il testo non offre neppure una risposta. Solo all’inizio, là nella sinagoga di Cafarnao (1,21-28), possiamo notato che «si meravigliarono molto» della sua dottrina perché «nuova e insegnata con autorità», e perché «persino gli spiriti impuri gli obbediscono». Si chiedevano che cosa stesse capitando (1,27); ma non abbiamo mai sentito le folle chiedersi: “Chi è mai costui?”. Entusiasmo, solo entusiasmo.
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Nota 5.
IL PAESE È QUELLO DI «NAZARET». Marco non intende specificare, ma i suoi lettori lo conoscono da quando egli scrive: «Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni» (1,9). Si tratta di una piccola borgata di Galilea che sarebbe stata ignorata dalla storia, se lì non fossero vissuti Gesù, Maria e Giuseppe. L’Antico Testamento non lo nomina mai, e Natanaele dirà: “Da Nazaret può uscire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Forse la pensavano così, inconsciamente, anche i suoi abitanti.
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condividiamo (cfr neretto) la preghiera della Chiesa (cfr colori).